Cintura di sicurezza e uomo a mare

A dispetto di quanto prevede la normativa italiana che impone la presenza a bordo dei soli giubbotti salvagente, il vero dispositivo che previene la caduta a mare è la cintura di sicurezza fissata alla life line. Vediamo come sceglierla e come procedere in caso di recupero del naufrago.

L’equipaggio che naviga a bordo di una barca da diporto ha mille occasioni di cadere in mare: si può essere scaraventati in acqua per un colpo di boma oppure scivolare sulla coperta con lo scafo sbandato oppure semplicemente sporgendosi lungo il bordo libero per recuperare una scotta. La normativa di sicurezza a questo proposito è alquanto bizzarra e superficiale: prevede infatti che a bordo ci siano dei giubbotti galleggianti, ma tali salvagenti servono solo dopo che si è caduti. Quindi per prima cosa sarebbe meglio attrezzarsi con qualcosa che eviti di cadere fuoribordo: la cintura di sicurezza.

In commercio esistono ottimi prodotti pensati per l’uso nautico. Si tratta di cinture del tutto simili a quelle utilizzate dagli alpinisti, molto robuste e in grado di sostenere il peso di un uomo, dotate di un solido anello al quale assicurare il cosiddetto “penzolo”. È molto importante che la cintura di sicurezza sia dotata anche di un indispensabile accessorio, ossia la cinghia inguinale che passa tra le gambe e impedisce alla cintura di sfilarsi, evenienza che purtroppo accade spesso, specialmente durante il sollevamento dell’uomo in mare con conseguenze anche gravi.

Cintura di sicurezza

Cintura di sicurezza, mai senza cinghia inguinale

Per capire l’importanza della cinghia inguinale basta fare un test: provate a sollevare un membro dell’equipaggio che indossa una cintura che ne è priva. Quest’ultima quasi certamente si sfilerà. Non a caso la presenza della cinghia inguinale è raccomandata da diversi enti internazionali tra i quali la britannica Royal Yachting Association (Rya) e la stessa Federazione Internazionale della Vela (Sail World).

La cinghia di aggancio con relativo moschettone serve invece per assicurarsi ai punti fermi e solidi della barca per esempio le cosiddette life line. Cinture e giubbotti hanno due funzioni completamente diverse ed è meglio avere una cintura di sicurezza e legarsi per evitare di cadere dalla barca che avere un giubbotto galleggiante e non legarsi. Purtroppo la normativa italiana non conosce la cintura di sicurezza e anzi chiama “cinture di salvataggio” i giubbotti creando confusione.

Giubbotto di salvataggio

Giubbotto galleggiante: meglio autogonfiabile

Il giubbotto galleggiante previsto dalla normativa è rigido e ingombrante, non ha la cintura di sicurezza e non è adatto a essere afferrato nel sollevamento dell’uomo a mare poiché le cinghie sono deboli e potrebbero rompersi o staccarsi. La ragione è molto semplice. Il suo vero nome è aiuto al galleggiamento ed è un accessorio importato nella nautica da diporto dalla marina mercantile, dove i passeggeri ovviamente non si devono legare alla nave che potrebbe affondare. Su una barca a vela o a motore è utile solo quando l’equipaggio teme che la barca sta affondando oppure quando si sta a bordo di un piccolo gommone.

In commercio esistono cinture di sicurezza corredate da cinghia inguinale e giubbotto galleggiante autogonfiabile, sono poco ingombranti e se si cade in mare si gonfiano automaticamente. Il loro prezzo non è eccessivo ma non conviene comprare il modello più economico. Si tratta infatti di un accessorio che si usa poco ma quando si utilizza deve essere perfettamente funzionale e affidabile.

Cintura di sicurezza

Quando assicurarsi alla life line? Usare il buon senso

Ma quando è il momento di indossare il giubbotto o assicurarsi? La regola è semplice: non appena si ritiene che esiste il pericolo di cadere in mare bisogna indossarlo e legarsi, per esempio se si va a prua a cambiare una vela con mare mosso oppure se si sta svolgendo un turno di vedetta in pozzetto di notte o ancora se si è in pozzetto con mare agitato e la barca rischia di traversarsi.

Una cosa è certa: non ha senso indossare il giubbotto senza legarsi. Infatti bisogna ricordarsi che la prima regola fondamentale è non cadere dalla barca. In genere sarà il comandante o lo skipper a dire ai membri dell’equipaggio quando sarà il momento di farlo,ma se ci si sente più sicuri legati allora bisogna farlo senza esitazioni. A questo punto attrezzati di cintura di sicurezza con giubbotto autogonfiabile, penzolo e jackline la probabilità di cadere in acqua si ridurranno notevolmente. Può però sempre capitare. Cosa fare?

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Uomo a mare: primo obiettivo far galleggiare il naufrago

Una delle prime fasi della manovra di uomo a mare è di lanciare in mare più materiale galleggiante possibile incluso il salvagente anulare regolamentare. Riuscire a vedere la testa di un uomo in un mare anche poco ondoso è molto difficile per questo ci si attrezza con delle aste galleggianti con bandiera che possono essere viste facilmente dall’equipaggio. Le aste stesse devono avere una luce nel caso si navighi di notte.

Se sfortunatamente accade che un uomo cade in mare slegato dalla barca occorre compiere una delle manovre di recupero per avvicinarsi il più possibile al naufrago. Purtroppo quando si è vicini all’uomo a mare la manovra di salvataggio non è finita: bisogna ancora assicurarlo con una cima e sollevarlo a bordo. Queste due operazioni si dimostrano molto più difficili di quanto si possa pensare, in particolare la seconda. La prima operazione è gettare in mare il salvagente anulare regolamentare con cima e lampada appena si sente il grido “uomo a mare”. È importante che la relativa cimetta sia legata al salvagente ma slegata dalla barca, in modo che il malcapitato possa recuperare il salvagente facilmente. Se l’incidente è avvenuto di notte bisogna lanciare anche la lampada.

Alare naufrago

Assicurare il naufrago e issarlo a bordo

Quando la manovra di avvicinamento è terminata, è consigliabile assicurare l’uomo in acqua dalla barca. Uno dei dispositivi più efficaci per compiere quest’operazione è il cosiddetto Sling, un galleggiante a ferro di cavallo con una lunga cima che va alla barca. Si utilizza lanciando il più lontano possibile effettuando con la barca una manovra avvolgente attorno all’uomo al mare che resterà al centro della cima in modo tale che lo Sling gli arrivi addosso. Una volta agganciato il naufrago si deve alare il malcapitato a bordo. Chi ha provato a sollevare dall’acqua almeno una volta un naufrago inconscio o molto debole sa bene quanto possa essere difficile se non impossibile farlo a forza di braccia: è indispensabile un mezzo ausiliario. La procedura classica prevede di armare un paranco o una drizza sul boma e alare.

Non è però facile assicurare la cima al malcapitato, specie se questi non collabora. Talvolta quindi si rende necessario far scendere un’altro membro dell’equipaggio in mare per eseguire l’assicurazione della cima al malcapitato con il pericolo però di trovarsi poi con due uomini da recuperare.

Il modo più semplice ed economico per riportare una persona bordo è quello di utilizzare il Trim, cioè una tela triangolare la cui base viene fissata ai candelieri e il vertice a una drizza. Il trim è una specie di robusta vela triangolare realizzata con tessuto perforato affinché non trattenga acqua con la base di un 1,5-2 metri e lunga circa 4 metri. La persona da issare a bordo viene messa in mezzo al Tri che poi si alza con la drizza portandolo l’altezza della coperta. A questo punto non è difficile fare passare il naufrago sotto le draglie anche se fosse inconscio. In commercio esistono diversi modelli di Tri, ma si può farlo realizzare anche da un velaio.

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Salvagente e cintura di sicurezza: quale esempio dai professionisti?

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David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore, reporter e direttore di testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici, compresi tutti i watersports.

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