Arriva sulla piattaforma digitale Netflix il prossimo 24 marzo Seaspiracy, il nuovo docufilm che svela il lato oscuro dell’industria della pesca e di tutte le condotte suicide che stanno distruggendo gli oceani.
Gli oceani rappresentano l’habitat naturale più vasto e prezioso del nostro pianeta. Il luogo in cui tutto è cominciato e da cui dipende l’equilibrio di tutte le specie, uomo incluso. Eppure non facciamo altro che distruggerli, depredarli e condannandoli a morte. È questo il grido di allarme rappresentato nel nuovo docufilm Seaspiracy che andrà in onda il prossimo 24 marzo sulla piattaforma digitale Netflix.
Una pellicola intensa, disturbante a tratti perché assurda ma barbaramente reale, frutto di anni di ricerche e di indagini condotte anche a rischio della propria vita per il regista Ali Tabrizi e l’attivista oceanico Kip Andersen. Seaspiracy mostra infatti quali proporzioni ha raggiunto il devastante impatto dell’azione dell’uomo sugli oceani. Una azione cinicamente suicida visto che i mari del mondo producono la metà dell’ossigeno che respiriamo, ospitano l’80 per cento della vita sulla Terra e assorbono circa un terzo delle emissioni di CO2. In poche parole sono gli artefici della nostra sopravvivenza.
Una cruda denuncia sulla condotta scellerata dell’uomo
E come trattiamo questi grandi alleati della nostra crescita? Distruggendo le specie ittiche commerciali, uccidendo 650.000 animali marini ogni anno tra balene, delfini e foche e massacrando 73 milioni di squali all’anno per la loro carne. Per non parlare dell’inquinamento massivo e le tonnellate di microplastiche con cui inondiamo i fondali, il riscaldamento globale e la cementificazione delle coste.
Nella loro inchiesta gli autori del docufilm Seaspiracy sono andati a indagare all’origine delle condotte umane responsabili della distruzione oceanica, che sta provocando la più grande estinzione di massa delle specie degli ultimi 65 milioni di anni, dopo la scomparsa dei dinosauri. Andersen e Tabrizi hanno portato le telecamere sui pescherecci, nelle aree di acquacoltura, ma anche negli uffici dei responsabili, portando a galla il lato oscuro dell’industria della pesca con il suo sfruttamento intensivo dei mari e dei suoi abitanti.
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Tutti sanno, nessuno fa nulla: un oceano di omertà
A finire sul banco degli imputati è dunque la condotta scellerata e ottusa dell’umanità, che da anni aggredisce le acque oceaniche e i loro abitanti con spietata avidità e prepotenza. Un tema scottante e messo sotto silenzio anche da chi avrebbe dovuto denunciare e, di conseguenza, intervenire. Da qui la scelta del titolo, Seaspiracy (gioco di parole tra “sea”, cioè mare, e “conspiracy”, ossia cospirazione), con cui il film punta il dito contro l’omertà di chi finora ha taciuto su quello che è definito uno dei più grandi problemi che affliggono la nostra epoca e da cui dipenderà la salvezza dell’intero pianeta.
“Questo docufilm trasformerà radicalmente il modo in cui pensiamo e agiamo sulla conservazione degli oceani per sempre – ha dichiarato Ali Tabrizi – è ora che concentriamo le nostre preoccupazioni ecologiche ed etiche sui nostri mari e sui suoi abitanti. Questa è una nuova era per il modo in cui trattiamo l’habitat più importante della terra”.
Il legame letale tra allevamenti intensivi e oceani
Un altro tema che affronta il docufilm Seaspiracy è il legame tra l’industria zootecnica e l’inquinamento delle acque, con la conseguente distruzione degli habitat, contaminati dai deflussi agricoli. Una connessione letale che secondo l’Epa (Environmental Protection Agency) è la causa principale dell’estinzione delle specie marine e delle zone morte oceaniche.
Come ci salveremo da questa guerra che l’uomo ha dichiarato agli oceani? Serve coscienza ambientale e consapevolezza delle conseguenze naturali delle nostre azioni, quindi azioni decisive e concrete da parte dei governi internazionali ma anche da parte di ognuno di noi. Il docufilm Seaspiracy può certamente contribuire a questa presa di coscienza collettiva. L’appuntamento per guardarlo è il 24 marzo su Netflix.
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