Nel saggio appena pubblicato “Oceano. The passenger. Per esploratori del mondo” la biologa statunitense Sylvia Earle propone un’interessante riflessione sulla vera natura dell’uomo e la sua connessione vitale all’oceano. E grida un allarme per salvarlo.
Come salvare i nostri oceani. Bisognerebbe ripensare il nostro pianeta, a partire dal nome. Non più pianeta Terra, ma pianeta Oceano, quale in realtà è. Ossia un unico grande mare che ricopre oltre il 70 per cento per cento del pianeta. E dove tutte le masse terrestri sono a tutti gli effetti delle isole. Il resto per lo più quindi è acqua salata. È questo l’invito che suggerisce a tutti la biologa statunitense Sylvia Earle, vera icona dell’oceanografia, nel libro appena pubblicato dal titolo “Oceano. The passenger. Per esploratori del mondo” (editore Iperborea, pagine 192, 18 euro).
Intervistata dalla giovane biologa marina peruviana Kerstin Forsberg, Sylvia Earle sottolinea l’esigenza di cambiare il nostro sistema cosmologico ed essere meno terracentrici. Pensarci anche noi come animali marini perché anche noi uomini abbiamo bisogno degli oceani esattamente quanto ogni polpo, calamaro, balena o barriera corallina: niente oceano anche per noi significa niente vita, niente umanità.
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Difendere gli oceani da inquinamento e pesca intensiva
“Oggi la nostra priorità numero uno – afferma nel volume Sylvia Earle – dovrebbe essere quella di smettere di avere un impatto sugli oceani. Per prima cosa, non fare danni. La conoscenza scientifica c’è già, ma non è stata ancora interiorizzata nella mentalità collettiva. Non ci siamo resi conto che, distruggendo l’oceano stiamo distruggendo il nostro stesso sistema di supporto vitale.
Come salvare i nostri oceani. La pesca industriale per esempio sta depauperando i nostri mari. Il pesce è considerato una risorsa gratuita: basta uscire e prenderselo. La perdita non si vede ma perdiamo tonnellate di animali. Non fa bene agli oceani e non fa bene al clima, come anche usare specchi d’acqua come discarica per lo smaltimento di ciò che non ci serve. Rimediare a questa nostra cecità al mare non significa solo interessarsi alla salute degli oceani, così fondamentale per il regolamento del nostro clima, ma includere nella narrazione anche le vite dei lavoratori offshore sulle piattaforme petrolifere, la riservatissima industria del trasporto marittimo, i pescatori di frodo, disposti a sfidare iceberg, tempeste e mesi di fughe dagli ambientalisti pur di non abbandonare il loro prezioso carico. Bisogna cambiare rotta, come dice anche il nostro Giovanni Soldini, navigatore e ambasciatore del rispetto dei mari.
Insomma bisognerebbe accompagnare a una visione del mondo meno antropocentrica anche una conversione etica che porti l’essere umano a ripensarsi come essere vivente e a rispettare il suo habitat naturale. Questo e tanto altro si trova nel bel saggio “Oceano. The passenger. Per esploratori del mondo”, un volume peraltro ricco di foto d’autore, dati, grafici e schede tecniche sui nostri oceani.