Con l’Atlante delle isole remote la scrittrice tedesca Judith Schalansky ci conduce in un suggestivo viaggio attraverso cinquanta isole, tra le più lontane e sperdute degli oceani, illustrandone la posizione e soprattutto raccontandone la storia, quasi sempre stupefacente.
Che differenza c’è tra un deserto e un’isola? Tra una distesa sconfinata di sabbia e dune e una crosta di rocce che emerge dall’oceano? Nell’immaginario letterario l’isola è sempre associata alla volontaria fuga in un luogo paradisiaco, ma anche al naufragio sciagurato che si trasforma in tragedia. Niente al mondo è tanto ambiguo come un’isola, al contempo rifugio e prigione, aspirazione di libertà e costrizione insopportabile. “Forse il paradiso è un’isola: di sicuro lo è l’inferno”, scrive Judith Schalansky nel suo bellissimo Atlante delle isole remote (editore Bompiani, 143 pagine).
Con questo raffinato atlante illustrato, l’autrice tedesca ci conduce in un suggestivo viaggio attraverso 50 isole remote, lontane da tutto e da tutti che non troverete mai con Google Earth: da Tristan da Cunha all’atollo di Clipperton, dall’Isola di Natale a quella di Pasqua, e ci racconta storie misteriose e bizzarre. Storie di animali rari e di uomini strani, di schiavi naufraghi e solitari studiosi di scienze naturali, esploratori smarriti e folli guardiani del faro, naufraghi dimenticati e marinai ammutinati.
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Per ogni isola tante storie di mare sorprendenti
Ogni coppia di pagine del libro si apre a destra con l’immagine grafica colorata in filigrana della carta nautica su cui galleggia l’isola; a sinistra, altre piccole immagini in alto ne tracciano la posizione sul mappamondo con alcune date significative, spesso lontane secoli; infine, al centro pagina, si dipana di volta in volta il racconto che è il vero piatto forte del libro. Ogni isola è infatti una storia, un ricordo, un’avventura che contiene le vicende di chi l´’ha scoperta o chi ha provato ad abitarla, a domarla, a dominarla, ad abbandonarla, a colonizzarla. Storie a volte drammatiche e a volte curiose, spesso malinconiche oppure agghiaccianti.
C’è naturalmente l’Isla Robinson Crusoe che dista 300 miglia dalle coste cilene. L’isola di Robinson è in realtà quella dove naufragò Alexander Selkirk, il vero marinaio scomparso che visse senza regole né convenzioni perduto su questo scoglio di quasi 97 chilometri quadrati, oggi popolato da 633 abitanti.
Isole remote: atolli polinesiani e isole caraibiche
E poi ci sono le isole strane, come St. Kilda, al largo delle coste scozzesi, dove per secoli i bambini appena nati morirono misteriosamente, senza che mai si sia potuta trovare una spiegazione. E adesso l’isola è disabitata, a differenza di Pitcairin, francobollo britannico di 4,3 km2 sperduto nell’oceano Pacifico, dove i discendenti degli ammutinati del Bounty per secoli hanno continuato a violentare donne e bambini, rivendicando quei gesti come diritti consuetudinari ereditati dai loro padri. La natura non è buona, e tanto meno l’uomo. Un’ulteriore conferma viene dall’isola di Saint Paul a 1500 miglia di distanza dalle Antille. Gli inglesi che vi sbarcarono nel 1875 trovarono solo due uomini: il governatore e il suddito, e sepolti nella loro baracca i resti del mulatto, che forse i due avevano divorato senza pietà né cattiveria. Un dramma beckettiano sperduto in quell’orizzonte assolato, nei deserti dell’oceano Indiano.
E poi ancora isole e ancora storie, episodi, fatti di cronaca, domande e suggestioni di un tempo passato. Uno dei piaceri dello sfogliare l’Atlante delle isole remote di Judith Schalansky è quello di poter fantasticare guardando la topografia e leggendo i racconti incredibili delle cinquanta isole presenti. Pochi libri di mare fanno sognare come questo.
A vela in solitario girovagando tra le isole minori d’Italia