In barca fa più freddo, colpa del “wind chill”

Perché in presenza di vento sentiamo più freddo di quello che c’è realmente? È il wind chill, un fenomeno studiato dai primi esploratori dell’Antardide e che oggi è stato codificato in un indice riportato da molti servizi meteorologici a uso dei naviganti. Ecco cos’è, come funziona e come possiamo tenerlo a bada mentre navighiamo.

Ai velisti il vento piace. È il “motore” che li fa andare soffiando sulle vele e spingendo i loro scafi. Più ce n’è e meglio si sentono. Ecco perché stanno sempre a controllare le previsioni meteo per pianificare un’uscita in barca. Anche in inverno, non c’è problema. Quello che però non devono sottovalutare, soprattutto quando navigano nei mesi più rigidi, è quanto la forza del vento ci fa sentire più freddo rispetto alla temperatura esterna. Spesso si sente dire: “Non è il freddo, è il vento…”.

Gli inglesi lo chiamano “wind chill”, ossia raffreddamento da vento, un fenomeno atmosferico conosciuto e studiato da tempo che ormai viene anche riportato da molti servizi meteorologici nazionali sotto forma di temperatura percepita, che in presenza di vento è sempre più bassa rispetto a quella reale. Vediamo allora in cosa consiste esattamente il wind chill, quali effetti ha sul nostro corpo e come possiamo affrontarlo al meglio quando siamo in navigazione.

Come fa esattamente il vento a farci sentire più freddo?

Il wind chill identifica la sensazione di freddo che prova il corpo umano sottoposto all’effetto combinato di basse temperature e vento. L’organismo infatti, sotto l’effetto raffreddante del vento, percepisce temperature più basse di quelle reali. Come si spiega il fatto che con il vento sentiamo più freddo? Il motivo è legato a come scambiamo energia con l’aria che ci circonda: possiamo descrivere il fenomeno in modo abbastanza semplice. Per prima cosa, cerchiamo di capire a quale temperatura siamo “perfettamente a nostro agio”. ll nostro corpo si comporta come una “macchina termica” che trasforma energia chimica in lavoro ed energia termica. Infatti ingeriamo un certo numero di calorie col cibo e convertiamo questa energia chimica nel combustibile che ci permette di vivere.

Le calorie che ci occorrono per il nostro metabolismo sono mediamente 2.000 per un adulto maschio e 1.600 per un adulto femmina. Ciò significa che, se non facciamo alcuno sforzo, questa è l’energia che ci serve per la sussistenza di tutte le nostre funzioni vitali basilari, compreso il mantenimento della temperatura corporea costante che è di circa 36.5 C. Durante la giornata un uomo emette in media circa 100 W, mentre una donna circa 80 W. Se l’aria circostante fosse alla nostra stessa temperatura, non potremmo scambiare calore e inizieremmo a scaldarci: per questo la temperatura a cui saremmo a nostro agio deve essere inferiore.

Il wind chill aumenta in base alla forza del vento

A una temperatura esterna di 31 gradi non dovremmo avere né caldo né freddo: è un valore “alto”, ma si assume che l’aria sia perfettamente secca (cosa che non succede sostanzialmente mai), che siamo senza abiti e non facciamo sforzi. Se la temperatura aumenta, il nostro corpo emette sudore che, evaporando, incrementa  l’asportazione di calore. Se al contrario la temperatura diminuisce, il nostro organismo mette in atto altri meccanismi per consumare più energia in modo da compensare la differenza di temperatura.

Consideriamo ora l’effetto del vento. Il vento può essere una leggera brezza, intorno ai 3 metri al secondo, un bel vento fresco a 8 metri al secondo, un vento forte a 15 metri al secondo, fino a una tempesta violenta a 30 metri al secondo. A ciascuna di queste velocità corrisponde un diverso scambio di energia tra il nostro corpo e l’aria circostante. Per esempio, con un vento a 15 m/s, corrispondenti a 25 nodi, con aria a 31° C invece dei 100 W che avevamo con aria ferma scambiamo ben 350 W, lo stesso valore che, con aria ferma, avremmo a 19° C. La temperatura che percepiamo a 31 C con un vento di 15 m/s è quindi 19° C.

I primi esperimenti del wind chill studiati in Antartide

A studiare per primi l’effetto wind chill sono stati nel 1939 gli scienziati ed esploratori Paul A. Siple e Charles F. Passel dell’U.S. Antarctic Service, nel corso di ricerche scientifiche in Antartide. Gli esperimenti iniziali verificavano quanto tempo impiegavano delle bottiglie d’acqua a congelarsi con una data forza del vento appendendole vicino all’anemometro. Dopo avere misurato il tempo di congelamento dell’acqua in varie condizioni di temperatura e vento, Siple e Passel con la tabella dei dati rilevati misero a punto un algoritmo per quantificare il raffreddamento in condizioni di vento. A seguito di tali esperimenti fu proprio Siple a coniare il termine “wind chill” nel suo studio “Adaptation of the Explorer to the Climate of Antartica” del 1939.

L’equazione elaborata da Siple venne successivamente manipolata per fornire una formula più semplice e comprensibile che è quella che si riporta oggi nelle tabelle del wind chill in uso nei servizi meteorologici. Per esempio con una temperatura di 10° C e un vento di 10 nodi, la temperatura percepita è 8° C. Con 15 nodi la temperatura è 5° C. Con 20 nodi, la temperatura percepita scende a 4° C.

Per contrastare il fenomeno del wind chill in barca, dove accanto al vento reale si aggiunge anche quello apparente dato dal movimento dello scafo sull’acqua, vale la regola seguita anche da chi va in montagna: vestirsi a strati, in modo da intrappolare dell’aria tra uno strato e l’altro che si scalda grazie al calore corporeo e impedisce al vento di renderci le navigazioni più fredde di quanto previste dai meteorologi.

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David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

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