I marinai e l’arte del nuoto: un connubio lento e difficile

La cultura del nuoto, inteso anche come fondamento dell’attività marinaresca, per quanto possa sembrare paradossale è un fenomeno tutto moderno e nell’antichità era un’attività assai poco praticata, se non sconosciuta anche da parte di chi andava per mare.

Marinai e arte del nuoto. La maggior parte delle persone pensa che i velisti, i marinai e i diportisti in generale siano sempre degli ottimi nuotatori. In realtà non è così. Tra di loro c’è ancora chi non solo riesce a malapena a stare a galla, ma neanche ama stare in acqua e questo non interferisce affatto con la loro passione. “Tanto al massimo, c’è il salvagente!”, pensano.

In compenso ci sono miliardi di persone nel mondo che nuotano per il fitness nelle piscine private o in quelle pubbliche, in mare come sui laghi e nei fiumi. Si può imparare a nuotare fin da piccoli e a livello sportivo cresce ogni anno il numero di nuotatori. Il nuoto come cultura però, inteso come fondamento dell’attività marinaresca, in realtà è un fenomeno moderno e nell’antichità il nuoto era un’attività assai poco praticata, se non completamente sconosciuta da parte di chi andava per mare.

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arte del nuoto

Gli antichi Greci e i Romani nuotavano, ma non tutti

Marinai e arte del nuoto. I miti delle antiche civiltà del Mediterraneo testimoniano un rapporto positivo con l’acqua e il nuoto, mediato fino alla tarda antichità da un pantheon di divinità acquatiche, tra cui ninfe e tritoni. Durante il periodo romano il nuoto era un’attività conosciuta e praticata, anche se i bagni romani erano dotati di grandi piscine poco profonde, progettate per stare a mollo e sedersi e non per nuotare.

Proprio le abilità natatorie dei popoli germanici che affrettarono il crollo dell’Impero d’Occidente nel quinto secolo avevano impressionato i Romani. Lo stesso Giulio Cesare, apprendiamo nella Vita di Plutarco, riuscì però a sfuggire a un agguato egiziano a Pharos nuotando.

arte del nuoto

I pirati: tanto crudeli, quanto pessimi nuotatori

Ma è nel periodo medievale che il nuoto scompare come pratica quotidiana, complice anche la religione e le credenze popolari del tempo. Gli specchi d’acqua erano considerati sinistri “altri mondi” popolati da sirene e mostri marini. Durante il Medioevo la stessa sirena simboleggiava un rapporto ambiguo con l’acqua, specialmente tra i marinai e i pescatori delle comunità costiere, per i quali rappresentava sia il fascino del mare che i suoi pericoli mortali.

Anche i pirati erano quasi tutti pessimi nuotatori. I loro velieri, dalla fine del 1600 fino alla metà del 1700, non avevano ancora scialuppe di salvataggio a bordo che sarebbero comparse solo nel 1800. Se un membro dell’equipaggio durante la navigazione cadeva in mare, non tornavano indietro a prenderlo. All’epoca le navi erano grandi, ingombranti, lente e girarle richiedeva sforzi incredibili. Si pensava che una volta caduti in mare non valeva la pena di prolungare l’agonia, quindi non saper nuotare e affogare rapidamente era considerato più accettabile che lottare per ore.

arte del nuoto

Il nuoto come mezzo per “salvare vite”

L’apprendimento del nuoto moderno, anche tra i marinai,  fu un processo lento che iniziò in Europa nel XVI secolo. Nel 1530 per abbassare il numero annuale di morti per annegamento le scuole e le università tedesche imposero il divieto di immergersi nelle acque del Danubio. Un simile divieto di nuotare nel Cam entrò in vigore a Cambridge nel 1571, con severe punizioni per le infrazioni: due frustate pubbliche, una multa di dieci scellini e un giorno alla gogna per la prima infrazione ed espulsione per la seconda.

Nonostante questo ambiente ostile, diversi importanti studiosi Tudor, tra cui il consigliere reale Thomas Elyot e il preside di St Paul Richard Mulcaster raccomandarono il nuoto come forma di esercizio e come mezzo per salvare vite. Il più influente fu Everard Digby che pubblicò De arte natandi nel 1587, un testo fondamentale per l’apprendimento del nuoto che rimase un punto di riferimento in Europa occidentale fino al XIX secolo.

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La marina di Napoleone crea la prima “scuola di nuoto”

La svolta del nuoto avvenne sempre in Inghilterra, nella città termale di Scarborough, sulla costa del North Yorkshire, nel 1667, quando il dottor Robert Wittie raccomandò il bagno in acqua di mare per una vasta gamma di disturbi. Anche in Germania, Johann Guts Muths scrisse Gymnastik für die Jugend nel 1793, pubblicato in inglese come Gymnastics for Youth nel 1800, con un capitolo sul nuoto e il bagno. Questo fu seguito nel 1798, da un libro specializzato in nuoto: il Piccolo libro di studio dell’arte del nuoto per lo studio autonomo.

Insomma gli insegnanti e i medici illuministi guidarono l’avanguardia del nuoto, ma furono i militari ad avviare il primo programma di educazione al nuoto. Nella Francia dell’Ancien Régime, dopo che un disastro navale aveva tolto la vita a molti cadetti della marina che non sapevano nuotare, Barthélémy Turquin aprì la prima École de Natation in una piscina galleggiante ancorata a uno dei ponti di Parigi. Ma furono le campagne europee di Napoleone I (1769-1821) a stimolare lo sviluppo del nuoto. In risposta alle ripetute sconfitte per mano dei francesi, la Prussia, l’Austria e diversi stati tedeschi aprirono piscine militari galleggianti per addestrare uomini alla guerra acquatica.

Da lì in poi il nuoto si è perfezionato come attività formativa legata alla salute e al benessere. Ma in modo lento e faticoso. Basti pensare che nel film Pearl Harbor, che ricostruisce il terribile attacco da parte dei giapponesi alla base navale statunitense nell’isola delle Hawaii durante la Seconda Guerra Mondiale, durante la scena del capovolgimento della portaerei USS Oklahoma, si sente un marinaio gridare: “Non so nuotare!”. Era proprio così.

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

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