L’inquinamento acustico delle attività umane danneggia molti animali marini, tra cui delfini, balene, orche e foche, condizionandone la vita, le possibilità di cibarsi e le rotte migratorie. Allo studio ci sono soluzioni per ridurre l’impatto sonoro di barche, navi e lavori sottomarini.
Nei mesi scorsi durante il lockdown imposto dall’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 tutti noi abbiamo visto come la natura si è riappropriata dei propri spazi: i boschi si sono ripopolati di animali selvatici, nelle città alberi e piante sono cresciuti rigogliosi e in mare sono riapparsi delfini, balene, orche e megattere. Proprio negli oceani uno degli effetti più importanti della riduzione dell’attività umana è stata la diminuzione dell’inquinamento acustico.
Tutti i mari del pianeta infatti mari hanno un proprio paesaggio sonoro, importante per molti animali marini, dai grandi cetacei alle meduse, che usano i suoni per comunicare tra loro, orientarsi e sfuggire ai pericoli. Grazie a questi suoni gli animali marini possono sentire o percepire per esempio la presenza di altri animali oppure ostacoli in certi casi anche a centinaia di chilometri di distanza. È noto per esempio che i delfini e le balene comunicano tra di loro a grandi distanze, ma anche per certi piccoli pesci i suoni sono importanti. È dalla fine degli Anni 60 che i biologi marini ascoltano i suoni degli oceani per mezzo degli idrofoni, microfoni progettati per essere usati sott’acqua e raccogliere i suoni sottomarini che permettono di studiare il comportamento di delfini e balene e valutare lo stato di salute del mare.
Troppo rumore negli oceani: gli animali soffrono
Purtroppo però molte delle attività umane che si svolgono in mare hanno un impatto negativo sul paesaggio sonoro sottomarino generando un vero e proprio inquinamento acustico che condiziona la vita delle specie che vivono sott’acqua. I rumori di origine umana più inquinanti a livello acustico sono quelli causati dalle navi, da certe modalità di pesca, dalle piattaforme petrolifere e dalle esercitazioni militari.
Le conseguenze di queste forme di inquinamento acustico sono state riassunte e spiegate in un articolo pubblicato di recente sull’autorevole rivista Science. Lo studio si intitola “The soundscape of the Anthropocene ocean”, ossia “Il paesaggio sonoro dell’oceano dell’Antropocene”. Antropocene è il nome che molti studiosi usano per descrivere l’attuale era geologica, cominciata quando le attività umane hanno iniziato a modificare l’ambiente terrestre. All’articolo che passa in rassegna più di 10.000 studi diversi sugli effetti dell’inquinamento acustico prodotto dalle persone sulla vita negli oceani hanno collaborato 25 autori internazionali sotto la guida di Carlos Duarte, ecologo marino dell’Università Re Abdullah per la Scienza e la Tecnologia dell’Arabia Saudita.
Inquinamento sonoro provoca danni comportamentali
“Ci sono prove evidenti del fatto che l’inquinamento acustico provocato dall’uomo compromette le capacità uditive dei mammiferi marini, come le balene e i delfini, ma anche le foche ed è causa di cambiamenti fisiologici e comportamentali”, si legge nell’articolo. Molti di questi animali per esempio si allontanano dalle fonti di rumori che li disturbano: le balene ad esempio evitano le principali rotte di navigazione e i banchi di pesci riescono ad allontanarsi dal rumore di un’imbarcazione che si avvicina. Alcuni animali però non hanno modo di spostarsi molto, inoltre quando le attività umane causano rumori forti e improvvisi, per esempio le esplosioni di un’esercitazione militare, gli animali marini possono restare assordati.
Poi ci sono i casi in cui certi rumori prodotti dalle attività umane non sono temporanei, ma permanenti, e quindi possono spingere gli animali ad abbandonare una certa area in maniera definitiva.
Soluzioni hi-tech e leggi contro l’inquinamento acustico
Alcune soluzioni per ridurre l’inquinamento acustico negli oceani esistono già e sono anche piuttosto semplici: basterebbe far rallentare alcune navi, modificare un po’ certe rotte di navigazione in modo da non avvicinarsi troppo a certe aree dell’oceano e cambiare le eliche che fanno più rumore con altre più silenziose, che esistono già. Duarte e gli altri scienziati che si occupano di acustica marina ritengono che l’adozione di tecnologie insonorizzanti dovrebbe entrare nelle legislazioni a tutela dell’ambiente. Finora gli accordi internazionali per la salvaguardia degli ecosistemi marini non hanno mai tenuto conto dell’inquinamento acustico e del suo impatto sugli ecosistemi oceanici. Gli autori dell’articolo sperano che il loro lavoro faccia sì che in futuro questo aspetto non venga trascurato.
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