L’ultimo incidente all’inizio di dicembre ha coinvolto in Pacifico la nave One Apus che durante una burrasca ha perso in mare 1.900 containers, di cui almeno 40 trasportavano sostanze pericolose. I containers persi rappresentano un danno ambientale enorme e un pericolo concreto per i diportisti.
Allarme containers persi in mare. Incrociare sulla propria rotta un container perso da una nave è un vero e proprio incubo per i diportisti, così come per i velisti professionisti che partecipano a traversate atlantiche e giri del mondo. Chiunque sta seguendo l’ultima edizione del Vendée Globe, giro del mondo in solitario e senza scalo, sa bene quante barche della flotta sono state vittima di incidenti e collisioni. I comunicati ufficiali parlano di Ufo, ossia di oggetti non identificati, ma con tutta probabilità si tratta sempre di oggetti provenienti dai container se non addirittura questi grandi contenitori stessi.
Il numero esatto dei container che finiscono in mare ogni anno è molto difficile da rilevare perché la maggioranza dei Paesi non vogliono rendere noto quanti ne perdono le loro navi e altri cercano di minimizzare. Secondo le statistiche ufficiali in ogni caso si parla di cifre enormi che si attestano tra i 13.000 e i 18.000 containers che cadono dalle navi e vanno alla deriva negli oceani.
Containers persi, alcuni con sostanze tossiche
L’ultimo incidente del genere è successo all’inizio di dicembre nelle acque dell’oceano Pacifico alla One Apus, una gigantesca nave portacontainer, che durante un trasferimento dal Giappone alla California, sorpresa da una burrasca, ha perso in mare 1.900 containers a circa 1.600 miglia dalle isole Hawaii. Una quarantina di questi, tra l’altro, trasportavano carichi pericolosi, tra cui esplosivi e altre sostanze altamente inquinanti. Un altro incidente simile era successo solo un paio di settimane prima alla nave gemella della One Apus con la perdita in mare di 3.000 containers. Incidenti del genere hanno varie conseguenze non solo da punto di vista assicurativo, visto che le varie compagnie di navigazione devono pagare i danni, ma soprattutto sono in ballo i danni ambientali e quelli sulla sicurezza della navigazione di piccole e grandi navi, comprese le barche dei diportisti.
Stivaggio selvaggio da parte di comandanti
Il problema della perdita dei containers da parte delle navi riguarda soprattutto lo stivaggio selvaggio di questi contenitori a bordo che raggiungono altezze proibitive soprattutto in caso di vento forte e tempeste. In questi casi molti comandanti decidono di tagliare le cinghie di supporto dei containers per lasciarli scivolare in mare e stabilizzare la nave. Nessuno fa obiezioni a questa pratica sciagurata perché, in ogni caso, c’è l’assicurazione che paga e questa spesso non solleva contestazioni perché preferisce pagare qualche container che la perdita della nave a causa della burrasca. I containers sono realizzati in acciaio, sono lunghi dai 6 ai 12 metri, hanno un volume di 80 metri cubi e un peso che si aggira sulle 3-4 tonnellate.
Ogni container è soggetto a un limite di peso per cui non è mai riempito completamente e rimane sempre un po’ di spazio al suo interno in cui si forma una sacca d’aria. Questa fa sì che i containers, una volta caduti in mare, non affondino subito e costituiscono un pericolo gravissimo per le piccole navi, i pescherecci e le barche da diporto. Inoltre siccome i containers cadono da diverse decine di metri di altezza, spesso si aprono e perdono in mare il loro contenuto. Eppure per scongiurare tali problemi basterebbe vietare alle navi di caricare oltre il giustificabile. E questa è una battaglia dura di cui però i paesi e i governi di tutto il mondo dovrebbero farsi carico.
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