Il settore nautico che vola e la guerra delle materie prime

A dispetto di un mercato in crescita e pieno di commesse, il settore nautico come altri comparti industriali sta vivendo l’incubo della scarsità delle materie prime, i rincari e le difficoltà di consegna. Ecco perché siamo arrivati a questa crisi e come possiamo uscirne.

Il settore nautico e la guerra delle materie prime. I recenti saloni nautici di Genova, Cannes, Southampton e Monaco con la vasta presenza di pubblico, l’esposizione di tante barche e accessori, le commesse firmate per ordini in alcuni casi fino al 2024 hanno rivelato un settore non solo in ottimo stato di salute, ma anche un grande fermento e un desiderio di rilancio dopo l’emergenza pandemica mondiale. Sentimenti marcati dalle aziende di tutta la filiera industriale ma anche dagli appassionati di tutto il mondo che giustamente vogliono tornare a vivere serenamente il mare, le barche e le crociere.

Quello che emerge con forza da queste esposizioni nautiche europee è soprattutto il fatto che la nautica oggi vive un momento magico di crescente consapevolezza del suo valore. L’evoluzione tecnologia da una parte e l’attenzione sempre più alta alla difesa dell’ambiente marino hanno innescato un mix virtuoso assolutamente lampante sulle banchine dei saloni.

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Manca di tutto: metalli, plastica, legno e vetroresina

C’è però un’altra faccia della medaglia, una sorta di nube nera all’orizzonte del mercato nautico che rischia di scatenare una tempesta ed è la mancanza di materie prime e componenti che causano ritardi nelle consegne e prezzi più salati dei prodotti. Manca di tutto per le costruzioni di yacht, megayacht e barche a vela, dal legno alla resina, dal silicio alla plastica, dai metalli ai componenti elettronici.

La catena che arriva dall’Oriente ovunque sta rallentando le consegne soprattutto di elettronica e motori marini, che ormai sono molto elettronizzati. Ma anche le materie prime come vetroresina, resine, metalli e legnami sono tutte in ritardo di consegna per via dei magazzini che erano vuoti con la crisi Covid e non sono stati adeguatamente approvvigionati, per cui ora la maggior parte delle aziende nautiche si ritrova in una situazione in cui hanno consumato tutto quanto c’era in magazzino e subiscono ancora una volta un rallentamento negli approvvigionamenti.

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Imprenditori in difficoltà: costi e tempi raddoppiati

Molti imprenditori nautici descrivono come “drammatica” la situazione relativa al costo e al reperimento delle materie e per qualcuno l’incubo è solo all’inizio. Si rischia di innescare infatti un meccanismo di ritardi che graverà non poco sulle aziende sane che hanno eroicamente resistito in questi due anni di pandemia. Quello dello scarse materie prime e prezzi maggiorati del resto è un problema che affligge molti altri settori produttivi italiani, europei e americani e che è figlio della politica di espansione della Cina. L’accaparramento di materie prime, come acciai e alcuni tipi di legni, così come il loro stoccaggio con immissione sui mercati a tappe ridotte e prezzi maggiorati è una delle principali cause, ma non il solo. L’acquisizione di importanti compagnie di trasporto navale dei container e di porti sparsi per i vari continenti da parte del colosso cinese è un secondo aspetto. L’influenza politica ed economica su altri paesi della cintura asiatica con la relativa ragnatela di pratiche burocratiche fa il resto.

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Paghiamo le politiche di delocalizzazione in Oriente

C’è chi tra le dirigenze dell’industria nautica è convinto che abbiamo lasciato in mano ad altri, alla Cina e gli altri paesi orientali in particolare, troppo e abbiamo preferito delocalizzare e comprare fuori tutto ciò che si poteva. Il risultato è che siamo rimasti dipendenti da altri. Serve minore pressione fiscale, ma anche trasmettere il fatto che la delocalizzazione ha fatto solo danni al nostro Paese, ai lavoratori in primis, che sono l’anima delle attività, e alle imprese italiane.

Buona parte di questa situazione infatti è voluta e guidata dalla politica di mercato proprio della Cina che di fatto ha come obiettivo primario quello di consolidare il suo primato di “produttore” a scapito dei paesi europei, che vorrebbe diventassero sempre più “compratori. Questa opinione è suffragata dall’accaparramento in atto da parte della Cina di ogni materia prima sui mercati mondiali, Africa in primis e dalle politiche economiche del Governo Cinese. Servirebbe quindi un forte accordo tra Cina Stati Uniti ed Europa, ma per ora è fantapolitica. Più facile sarebbe invece chiedere alla politica almeno un vero fronte unitario Europeo, con una task force dedicata, che difenda gli interessi delle aziende produttive che hanno ancora la forza e la volontà di mantenere in vita le unità produttive in Europa.

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Le conseguenze dirette sulle imprese nautiche

Quindi all’euforia dei cantieri e delle aziende nautiche di avere tanto venduto in questi ultimi mesi del 2021 si affianca la preoccupazione di riuscire a rispettare i tempi e consegnare le barche entro la stagione. Non tutti i clienti sono pronti ad aspettare, quando le consegne delle imbarcazioni possono slittare anche a novembre 2022, a estate già finita. Il mercato tira moltissimo e firmare contratti non è il problema, ma è difficile aumentare la produzione alle condizioni attuali se le materie prime mancano. Il vicepresidente di Confindustria Nautica Piero Formenti sull’argomento è chiaro: “Se non ci fossero stati questi problemi la crescita già favolosa del 23% della nautica poteva raggiungere il 30%”.

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Tecnologia e sostenibilità sono il futuro della nautica

In attesa di contromisure politiche al problema della scarsità di materie prime attualmente molti cantieri nautici, soprattutto i più grandi, si sono organizzati accumulando più scorte possibili, anche a costo di pagare prezzi maggiorati, pur di non dover tardare le consegne o prendere nuovi impegni. Altri tuttavia si trovano in difficoltà e sono a caccia di forniture alternative in giro per il mondo. Le dogane gestite dai governi, dei rispettivi paesi, peraltro spesso fermano i carichi e aumentano costantemente i prezzi delle materie prime, invece di snellire ed alleggerire la situazione. Anche il costo del trasporto aumenta vertiginosamente: per esempio un container proveniente dall’Asia due anni fa costava 3.500 euro, oggi si parla di 12-14 mila euro.

Un’altra soluzione a stretto giro per l’industria nautica italiana è quello di accelerare la ricerca verso soluzioni tecnologiche ed ecosostenibili in grado di garantire anche un più facile reperimento. È questa la nuova sfida del made in Italy che per mantenere la leadership del diporto sui mari del mondo deve affrontare.

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

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