Il comandante e il primo ufficiale della petroliera Wakashio sono stati condannati a 20 mesi di carcere. La nave colpì la barriera corallina a Sud Est di Mauritius nel 2020 causando il più grave disastro dell’oceano Indiano.
Tutti ricordano quella chiazza enorme di petrolio sullo sfondo di un mare verde smeraldo. Un’immagine devastante diffusa dai giornali di tutto il mondo e replicata a profusione sui social. È il 25 luglio del 2020 quando la Wakashio, una nave cargo battente bandiera panamense che trasporta 4.200 tonnellate di petrolio, colpisce un banco di scogli a Point d’Esny, a Sud Est dell’isola di Mauritius nell’oceano Indiano. Nella collisione lo scafo si spezza in due tronconi e tutto il carico di combustibile a base di zolfo, diesel e oli lubrificanti si riversa in mare.
La petroliera, costruita nel 2007 e con un equipaggio di 20 persone, era partita da Singapore e stava percorrendo la tratta Cina-Brasile. La società armatrice della Wakashio, la giapponese Nagashiki Shipping Co., aspetterà solo l’8 agosto prima di pubblicare notizie in merito al disastro sul proprio sito ufficiale. Quello della Wakashio è stato il più grave disastro ambientale dell’oceano Indiano. La marea nera di petrolio ha distrutto e contaminato l’intero tratto di costa che va da Rivière-des-Créoles a Pointe d’Esny, passando per la riserva naturale protetta dell’Île aux Aigrettes.
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Vicino alla terraferma per far funzionare gli smartphone
Di recente un rapporto diffuso dagli investigatori giapponesi sull’incidente ha fatto emergere che a bordo della Wakashio l’equipaggio non aveva a disposizione una carta nautica dettagliata della zona. Secondo il Japan Transport Safety Board il comandante avrebbe ordinato all’equipaggio di avvicinare la nave alla costa dell’isola, notoriamente molto rischioso per via dei banchi di corallo, nel tentativo di catturare il segnale dei telefoni cellulari.
Il primo ufficiale, a quel punto, avrebbe posizionato la nave parallelamente alla costa, senza però essere in grado di rilevare ostacoli come le barriere coralline; con il risultato che la nave si è arenata in acque poco profonde. Gli stessi membri dell’equipaggio hanno riferito agli investigatori che la loro nave si era avvicinata alla costa per catturare segnali mobili anche durante i viaggi precedenti.
Danni inestimabili e pene lievi
Venti mesi di carcere. Questa è la condanna inflitta al capitano del cargo giapponese Sunil Kumar Nandeshwar; e il giudice del Tribunale ha confermato la stessa pena anche al primo ufficiale Hitihanillage Subhoda Janendra Tilakaratna. Il magistrato Ida Dookhy Rambarrun ha affermato che entrambi sono stati giudicati colpevoli di aver “messo in pericolo la navigazione sicura”; ma anche di non aver “svolto come avrebbero dovuto i loro doveri di navigazione”.
Fa riflettere una pena tanto lieve per un disastro così devastante e un comportamento colposo tanto evidente. E come sempre a pagare di più è la natura.