Come gestire l’isolamento: impariamo dai navigatori oceanici

In questi giorni di emergenza da Coronavirus una delle sfide più difficili per tutti è riuscire a gestire l’isolamento forzato, necessario per limitare il numero dei contagi. Un’arte che si può imparare da coloro che per professione ci convivono da sempre, come per esempio i navigatori solitari.

Tra coloro che sono abituati più di altri all’isolamento e alla solitudine ci sono i navigatori solitari. Persone sicuramente coraggiose che amano il mare, la vela, la natura, il viaggio e per seguire le proprie passioni sono disposti ad affrontare giorni, se non mesi, di assoluto isolamento macinando miglia, affrontando il maltempo e qualsiasi problema che gli si pone sulla rotta. È gente curiosa, consapevole, motivata, che sicuramente ama le sfide e ha voglia di mettersi in gioco senza compromessi.

Certo, quando si compie una traversata oceanica o un giro del mondo, soprattutto se si tratta di una competizione, dietro naturalmente c’è una grande preparazione e un team senza i quali non è possibile effettuare queste imprese. Il gioco d’équipe è necessario, poi però si mollano gli ormeggi, si rimane in perfetta solitudine, e solo se ci si è preparati a dovere, si riducono le incognite e ci si concentra sulla regata, si entra nella propria dimensione. Da loro forse anche tutti noi possiamo imparare qualcosa.

La paura, il panico e le insidie del mare

Gli skipper oceanici accettano presto il fatto che devono adattarsi al nuovo ambiente in cui vivono, imparano a reagire a situazioni che cambiano molto rapidamente, ad adattarsi a forze che sono al di fuori del loro controllo. Chi naviga gli oceani in solitario ha anche paura naturalmente. Si cerca di combatterla e prima o poi ci si abitua anche a questo sentimento. Ma la paura è una compagna preziosa perché è quella che ti fa vedere i tuoi limiti e ti fa tornare a casa vivo. Il vero nemico di chi naviga sugli oceani è il panico. Quell’ansia feroce che impedisce di ragionare. Se in oceano capita un incidente non si ha il tempo di pensare, ma per fortuna il senso di sopravvivenza aiuta a tenerlo sotto controllo.

Ogni mare riserva insidie diverse. Le acque cristalline dei mari del sud, per esempio, sono le più affascinanti con la loro atmosfera esotica ma ogni skipper sa che, se gli succede qualcosa, non c’è terra nelle vicinanze. Se si naviga sopra il 50° parallelo, invece, non ci sono navi e nessuno può salvarsi se non contando solo sulle proprie forze. Per fortuna durante una regata ci sono momenti in cui la tensione sportiva e l’agonismo sono talmente alti che tengono gli skipper super concentrati e a essere soli contro tutto e tutti, semplicemente non ci pensano.

L’arte di entrare in simbiosi con la barca

In qualche modo durante la navigazione in solitario si viene distratti dal fare: c’è la conduzione della barca, le manovre, le difficoltà da risolvere per gestire al meglio la barca, la navigazione e le strategie degli avversari. In genere gli skipper solitari creano un legame fortissimo con la barca, ne conoscono ogni centimetro, imparano a riconoscere i rumori, come si muove, tutto quello che trasmette solcando le onde e inseguendo il vento. In pratica diventano un tutt’uno con lei. Alcuni di loro sviluppano una sensibilità pazzesca derivata dal fatto che, se non capiscono che c’è un problema, nel giro di poco tempo potrebbe diventare un problema più grande e non c’è nessuno ad aiutarli. Alla fine quello che conta in una navigazione in solitario è riuscire a conoscere completamente i propri limiti e quelli della barca.

Gestione del sonno, il tempo e le comunicazioni

Poi certo ci sono le questioni pratiche. Il vero problema di navigare in solitario, raccontano gli skipper professionisti, è dormire, perché più si riesce a gestire il sonno e a riposarsi, più si rimane concentrati e vigili per far andare la barca al massimo. La tecnica è quella di concedersi dei micro sonni da 20 minuti al massimo. Senza contare le privazioni, ma anche queste possono essere uno stimolo a chi naviga da solo. Il bello delle privazioni è che poi fanno apprezzare le cose semplici, come riposare in un letto o mangiare seduto a tavola. Nonostante l’isolamento forzato ci si consola pensando che c’è chi ti aspetta al traguardo, chi controlla la rotta, chi si occupa della comunicazione con i fax, i telex, internet e i telefoni satellitari. Le giornate di chi va per mare sono tutte simili e tutte diverse. I pensieri sembrano uscire dal tempo. Si vive sempre nel presente. Non c’è ieri e non c’è domani e neppure c’è la mattina o la sera: magari lo skipper ha l’orologio che segna mezzanotte ma dalla parte del mondo in cui è finito in quel momento c’è il sole a picco.

Per un navigatore solitario il fatto di passare tanto tempo in solitudine è una scelta consapevole. Si fa un patto con sé stessi e si impara a trovare un equilibrio mentale. Per combattere la solitudine si deve trovare continuamente la propria motivazione. Non è facile neppure per loro, ma la disciplina, gli obiettivi e il pensiero di tornare sulla terraferma con un’altra esperienza vissuta può dare tanta energia, pazienza e una forza immensa che ripaga di tutti gli sforzi e i giorni di isolamento.

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

2 Comments
    1. Buongiorno Carlo, grazie dell’apprezzamento. Se hai tu stesso degli spunti inediti per degli articoli o dei temi di interesse che vorresti leggere, fatti pure avanti. Saremo felici di accontentarti. Buon vento!

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