Ancoraggio selvaggio: proteggere la barca in luoghi remoti

Le filosofie di ancoraggio migliorano in base alla nostra esperienza di navigazione, alla conoscenza delle tecniche classiche, ma anche agli scenari diversi che affrontiamo durante le nostre avventure per mare. Chi naviga in luoghi remoti durante le soste può essere messo alla prova. Ecco come risolvere le situazioni più difficili.

Quando si naviga, più lontano ci si avventura dalle rotte conosciute, maggiore è la probabilità di modificare la propria filosofia di ancoraggio ideale. A volte, soprattutto in luoghi sconosciuti, per ottenere l’accesso alla costa o per trovare rifugio dalle intemperie, si deve prendere tutto ciò che la natura può offrirci e diventare creativi con le tecniche di ormeggio. Ecco alcune delle soluzioni più utilizzate per l’ancoraggio in baie remote.

Ancoraggio con cima a terra

Quando l’acqua è molto profonda e la costa attorno a una baia è ripida e scoscesa, non è sempre pratico, sicuro o possibile utilizzare le ancore di bordo, quindi assicurare la propria barca la terra diventa l’unica opzione praticabile. La cima a terra è uno strumento che permette di risolvere diverse situazioni difficili, ma nasconde anche alcune incognite. Per evitare di mettersi nei pasticci è importante studiare in anticipo la manovra prima per capire dove si andrà a mettere la cima a terra e quanto questa dovrà essere lunga. Partendo dal presupposto che non si utilizza la cima a terra se il vento è molto forte e l’onda entra in rada, non serve una cima di grande spessore per collegare la barca a terra. È sufficiente una cima d’ormeggio di circa 25 metri di lunghezza. Va messa in chiara e addugliata correttamente in pozzetto. Dopodiché si cala in acqua il battello di servizio equipaggiato con il fuoribordo già pronto a poppa. A questo punto si da ancora sul fondale e ci si assicura che questa tenga. Quindi ci si dispone con la poppa verso il punto in cui si vuole che questa rimanga fissa. Una o due persone scendono sul tender e portano la cima a terra e provvedono a legarla a una roccia o a un albero.

Se si lega la cima intorno a una roccia, sarà bene fargli fare due giri non tanto per una questione di solidità dell’ormeggio, ma per salvaguardare la cima: facendo un solo giro, la cima si sposterà al muoversi della barca andando a sfregare contro la roccia e rovinandosi. Un’altra accortezza è quella di fare il nodo di gassa per formare il cappio che si metterà intorno alla roccia, distante da questa. Se il cappio è molto largo, in caso ci sia la necessità di abbandonare l’ormeggio velocemente, sarà più semplice liberare la cima dalla roccia. Una volta terminata l’operazione, si devono mettere i parabordi lungo la cima per segnalarne la presenza ad altri diportisti.

Ancoraggio con moto ondoso

Un’altra situazione che potrebbe capitare quando si decide o si è costretti a sostare in baie sconosciute è l’ancoraggio alla ruota in condizioni di moto ondoso importante. È una delle situazioni più scomode, infelici e può facilmente indurre il mal di mare a tutto l’equipaggio. Il problema maggiore in questo caso è che la barca muovendosi incessantemente sotto l’azione combinata del mare accumula energia cinetica e nel momento in cui la linea di ancoraggio arriva a fine corsa si generano pericolosi carichi dinamici che bisogna arginare il più possibile.

Una delle soluzioni è ridurre il movimento laterale dello scafo tramite una piccola vela antibrandeggio oppure un’ancora galleggiante. Altro sistema è munirsi di una linea di ancoraggio capace di assorbire questi carichi di energia: l’ideale è realizzare una linea lunga con catena associata a una componente tessile che ha un’elasticità maggiore. Secondo le condizioni, si può iniziare con una parte elastica lunga un po’ meno della profondità così nei momenti di stanca non vi è contatto del tessile con il fondo) per poi allungarla via via che le condizioni peggiorino.

Ancoraggi in baie strette

Può anche capitare di doversi ancorare in zone dove le condizioni richiedono che la barca resti assolutamente immobile: baie strette, fiumi con vegetazione che rischia di urtare contro l’alberatura oppure canali di traffico molto vicini. In tali casi è necessario utilizzare un secondo vincolo con il suolo che permetta di bloccare il movimento della barca per renderla perfettamente immobile: talvolta si può ricorrere al metodo delle cime a terra visto sopra oppure all’utilizzo di una seconda ancora. Il modo più semplice consiste nel filare normalmente un’ancora di prua per poi aggiungere successivamente una seconda ancora filata a 180° e data volta a poppa: così vincolata nelle due direzioni la barca mantiene la sua posizione. Un ancoraggio del genere in caso di peggioramento delle condizioni presenta comunque dei rischi per cui è necessario limitarlo a situazioni meteo tranquille ed esercitare comunque una vigilanza continua.

Coralli, fiumi e fondali di fango

Esistono poi altre situazioni di ancoraggi difficili in luoghi remoti. Per esempio le baie con presenza di blocchi di corallo: in questo caso c’è il forte il rischio di usura della parte tessile della linea di ancoraggio. Il consiglio è di utilizzare il calumo esclusivamente con catena, e solo nel caso fosse necessaria una certa elasticità, si può ricorrere a una parte tessile tenuta a galla però da alcuni parabordi. Può capitare di doversi ancorare in zone fluviali con forte di corrente. Qui il modo più semplice ed efficace per fermare la barca è dare volta a una lunga cima a un albero sulla riva e orientare il timone in modo che la barca si tenga lontana dalla riva.

Infine la baia scelta o obbligata per sostare può avere il fondale di fango molle. In questa situazione si possono adottare due sistemi di ancoraggio. Il primo prevede di utilizzare un’ancora piatta in lega leggera con la maggior superficie possibile e un piccolo spezzone di catena. In tal caso all’inizio si usa un calumo relativamente corto, in modo che il fuso non affondi al di sotto delle due marre che tendono a “galleggiare” per poi allungarlo in un secondo tempo. Il secondo sistema prevede, alternativamente, l’utilizzo di un’ancora “a punta” il più pesante possibile per cercare di farla entrare in contatto con uno strato di fondale più compatto, al di sotto di quello molle.

Insomma il ventaglio di ancoraggi difficili in luoghi remoti può essere estremamente ampio. Una ricetta magica valida in ogni situazione non c’è. Spesso serve creatività e ingegno, sempre associate a buon senso e spirito marinaresco.

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

No Comments Yet

Leave a Reply

Your email address will not be published.