Per evitare i costi dello smaltimento legate alle stringenti normative a tutela dell’ambiente, molte unità dismesse vengono demolite e abbandonate in Bangladesh, India, Africa, Cina e Pakistan, nei cosiddetti “cimiteri delle navi”. Un fenomeno simbolo del degrado dell’uomo moderno in continua crescita…
Demolire una nave dismessa è un problema legato all’esigenza di bilanciare il rispetto della legge con il contenimento dei costi della demolizione. Per ovviare al problema economico della rottamazione delle unità dismesse, molti armatori meno inclini alla legalità ricorrono allo smaltimento selvaggio nei Paesi del Terzo mondo che sfocia nel fenomeno noto come “cimiteri delle navi”.
In pratica invece di eseguire i lavori sul territorio di bandiera, vincolato da precise regole, non ultime quelle ambientali, si spedisce la nave in luoghi esotici, per lo più Bangladesh, India, Africa, Cina e Pakistan, dove questi “giganti del mare” vengono smontati pezzo per pezzo direttamente sulle spiagge, da lavoratori pagati meno di 4 dollari al giorno senza nessuna protezione contro i materiali tossici e i residui di idrocarburi sprigionati nell’opera di demolizione. Niente regole, costi ridicoli per gli armatori.
Impatto ambientale enorme e operai morti sul lavoro
Di contro centinaia di morti sul lavoro e impatto ambientale enorme visto che questi luoghi rimangono contaminati per lungo tempo. A denunciare il problema sono scesi in campo negli ultimi anni associazioni ambientaliste e organi di informazione che hanno realizzato drammatiche inchieste e reportage. A dare però le misure reali del fenomeno è l’organizzazione internazionale non governativa Shipbreaking Platform (www.shipbreakingplatform.org).
Secondo studi recenti delle oltre 1.000 navi oceaniche smantellate ogni anno in giro per il mondo, più della metà vengono vendute proprio ai cantieri illegali, soprattutto in Asia meridionale. Il 40 per cento di queste ultime sono provenienti da Paesi europei: il record di “commissioni” spetta alla Grecia, subito seguita dalla Germania. E poco potrebbe cambiare in futuro, almeno a breve. Nonostante una direttiva Ue (in vigore da dicembre 2013) imponga la rottamazione delle navi europee in continente e preveda incentivi economici agli armatori, resta facile infatti per questi eludere la legge: basta dotare le proprie navi di bandiere “ombra” (ossia di Paesi meno fiscali, come Liberia, Panama, Togo, etc.) e spedirle in qualche buco del mondo. Ma dove?
I cimiteri di navi più grandi del pianeta
Uno dei cimiteri di navi più grandi del pianeta è quello situato sulla costa di Sitakunda, 20 chilometri a Nord Ovest di Chittagong, in Bangladesh. Qui nel 1960 un ciclone lasciò la nave cargo MD Alpin arenata sulla riva e gli operai locali cominciarono lentamente a portare via rottami e materiali. Da allora questo cantiere a cielo aperto è cresciuto e dalla metà degli Anni 80 il Paese è diventato uno dei maggiori “demolitori” di navi al mondo con oltre 30 unità smantellate ogni anno. Il business della rottamazione ha un fatturato annuo di circa 1,5 miliardi di dollari e impiega oltre 200.000 persone.
Le spiagge asiatiche della demolizione: Alang e Gadani
Un altro famoso cimitero di navi è Alang, nello stato indiano di Gujarat. È il più grande dell’Asia con oltre cento navi, tra vecchie petroliere, portacontainer e traghetti, che ogni anno finiscono su questa costa dove squadre di lavoratori scalzi e muniti di semplici martelli e seghe si fanno largo tra scorie di amianto e fumi di vernici tossiche. Quando sopravvivono, in tre mesi riescono a recuperare quasi tutto della nave. Non meno inquinato e desolato è il cimitero di navi di Gadani, una costa situata a circa 50 chilometri a Nord Ovest di Karachi, in Pakistan. Nei primi Anni 80 Gadani impiegava oltre 30.000 operai nel recupero dell’acciaio proveniente dalla carrette del mare e ancora oggi, nonostante il prezzo del metallo si sia ridotto, il business della demolizione è ancora florido: sono centinaia le navi demolite ogni anno lungo questa spiaggia.
Il paesaggio spettrale di Skeleton Coast
Ci sono poi dei cimiteri marittimi forse ancora più inquietanti e spettrali, dove le navi non vengono demolite, ma semplicemente abbandonate, magari dopo un naufragio e lasciate a disintegrarsi in modo “naturale” sotto l’effetto del salino. Il più famoso è la Skeleton Coast, sulla costa atlantica della Namibia settentrionale. Il nome (costa degli scheletri) si riferisce agli innumerevoli relitti spiaggiati lungo il litorale. In tutto se ne contano oltre un migliaio.
Tristemente nota è anche la Baia di Nouadhibou in Mauritania. Nelle sue acque, dove nel 1816 si incagliò la fregata francese La Méduse, giacciono oggi oltre trecento navi tra pescherecci, cargo e navi cisterna, di cui almeno una ventina affondate. Un’altra discarica di relitti a cielo aperto è il lago di Aral, in Uzbekistan, essiccato negli Anni 60 dal governo russo deviando i fiumi che lo alimentavano per incrementare la produzione di cotone nella regione arida. Risultato: uno dei disastri ambientali più colossali del pianeta e l’economia della zona incentrata sulla pesca, una volta fiorente, andata in rovina con i pescherecci abbandonati nella steppa sabbiosa.
Dall’Australia all’Europa, cimiteri navali anche in Mediterraneo
Uno dei più singolari cimiteri di navi tuttavia si trova in Australia. Si chiama Curtin Artificial Reef perché in quest’area le navi affondate si sono trasformate in una sorta di barriera corallina con le carene di metallo ormai indistinguibili dalle rocce dei fondali. Non mancano infine cimiteri navali anche in Europa. Il più celebre è quello di Landévennec, in Francia, utilizzato come deposito di navi dismesse della Marina militare.
Per semplicità li chiamiamo cimiteri di navi, in realtà questi luoghi del pianeta non hanno nulla a che fare con la sacralità e il silenzio del riposo eterno legati al termine greco koimetérion. Quelle carcasse di ferro arrugginito abbandonate sulle coste, quegli ammassi di lamiere e acciaio gremite di lavoratori schiavi che ci lavorano come formiche, gridano forte, in maniera continua e assillante, il degrado dell’uomo moderno e i suoi falsi miti.