Alessandro e Luigina sono una coppia di velisti che ha deciso di cambiare vita e trasferirsi a bordo del Sealab, un GibSea di 12,60 metri, per navigare in libertà. Una volta a bordo, hanno completato una serie di lavori alla barca volti ad adattarla alle loro esigenze. Il primo di questi è stato la costruzione di una nuova cabina armatoriale a prua. Ecco come è andata…
Volendo vivere in barca tutto l’anno, io e Alessandro desideravamo che la nostra cabina armatoriale fosse luminosa, confortevole e spaziosa. Insomma un ambiente sottocoperta ideale dove poter dormire su di un vero letto per risvegliarci ogni giorno riposati e di buon umore. Fino a ora abbiamo usato come nostra cabina una delle due di poppa e è andata benissimo per un uso vacanziero, d’estate e con il caldo. Gli spazi risultano un po’ stretti però e il letto è un po’ piccolo. Disagi tutto sommato gestibili per brevi crociere, ma non certo per vivere a bordo tutto l’anno.
Il nostro Sealab, un Gib Sea 126 di 12,60 metri, è nato con due anguste cabine a prua, una a dritta e l’altra a sinistra dell’albero passante, con un bagno in comune. Nel 2000, quando Alessandro ha acquistato la barca, ha unito le due cabine rimuovendo la parete divisoria e chiudendo la porta a dritta dell’albero. Grazie ai due grandi oblò superiori, questa è la parte più fresca dell’interno della barca e quindi abbiamo deciso di trasformarla nella nostra cabina armatoriale.
Di giorno in barca, di notte in appartamento
Per prima cosa abbiamo demolito tutto, fino a ottenere un unico grande spazio vuoto e in quest’opera di demolizione Alessandro è stato molto efficace, forse per via di suoi antenati cimbri. I cimbri (o cimmeri) erano infatti un popolo barbaro che circa duemila anni fa è arrivato dalla Danimarca in Nord Italia, dove alcune tribù si sono stabilite nel bosco del Cansiglio, vicino a Treviso. Durante tutti questi lavori la barca era inabitabile e quindi abbiamo preso in affitto un appartamento a Pantocratoras, delizioso quartiere di Preveza, una bella cittadina greca affacciata sul Mar Ionio, nel quale abbiamo stipato tutte le nostre cose dopo avere liberato casa e barca.
Finiti i traslochi, nel bel mezzo dei lavori e con la barca ridotta a un guscio vuoto senza albero né motore, sono però iniziati i problemi. Innanzitutto la pioggia che d’inverno a Preveza è così abbondante che il cantiere si allaga. Su questa eventualità però siamo stati previdenti scegliendo un cantiere con un grande tendone nel quale, con un costo extra, abbiamo fatto spostare lo scafo per poter lavorare al coperto.
La nostra prima burrasca è stata a terra
Subito dopo avere portato al riparo la barca però si è presentato un altro problema: Alessandro è rimasto bloccato a letto per un mese con un atroce mal di schiena. Sono stati giorni di angoscia per noi perché tutto il nostro progetto di una nuova vita in barca era basato sulla sua capacità di eseguire i lavori che avevamo in mente. Lo stesso restauro della barca era possibile solo grazie alle competenze e alla manualità di Alessandro: senza di lui la nostra avventura rischiava di finire prima ancora di cominciare. Possiamo dire che questa è stata la prima burrasca che abbiamo affrontato.
Per fortuna si è rimesso in forma e abbiamo riaperto il cantiere, ma la serenità è durata poco perché dopo pochi giorni io stessa sono scivolata in pozzetto e mi sono rotta un piede con conseguente gambaletto ingessato e stampelle che ho dovuto usare per un mese e mezzo. Gli operai del cantiere ormai si erano affezionati a questa signora in tuta gialla da lavoro che, seduta con la gamba ingessata disposta in alto, teneva compagnia al marito mentre questi lavorava oppure lo aiutava con spatole e pennelli a resinare i pezzi di legno saltellando su un piede solo intorno al banco da lavoro.
Bella la cabina in 3D! Facciamola così…
Dopo questi giorni travagliati, siamo tornati a occuparci della nostra cabina. Abbiamo rinforzato l’attacco del “baby stay” realizzando una trave a sandwich in legno e carbonio che poi abbiamo incollato sotto l’attacco stesso. Poi ci siamo occupati della paratia di prua: quest’ultima era in compensato marino e rivestita di vetroresina dal lato cala vele. Nella parte inferiore il legno era marcio a causa dell’umidità quindi abbiamo sostituito la parte rovinata con del nuovo compensato incollando ed impregnando il tutto con resina epossidica.
Una volta presi i rilievi, abbiamo quindi progettato la nuova cabina in 3D al computer, un’operazione molto utile che ci ha permesso di visualizzare lo spazio e l’allestimento in anteprima per decidere al meglio la disposizione degli arredi e ottimizzarne il taglio dai pannelli di compensato. Per ricavare questi ultimi abbiamo ritagliato le sagome in cartone dei vari pezzi per poterle facilmente provare ed adattare prima del taglio definitivo sul legno. Quando tagliavamo tutti i pezzi col seghetto alternativo inoltre avevamo l’accortezza di lasciare del materiale in eccesso su tutti i tagli dritti in modo da rettificarli al meglio successivamente con la fresa per ottenere dei bordi più rifiniti. È stata una vera prova fisica e di pazienza salire e scendere ogni volta dalla scala del tambucio per fare le prove dei tanti singoli componenti per poi rifinirli in opera.
Colle e resine, i nostri alleati migliori
Dopodiché abbiamo spatolato tutti i componenti con epossidica per renderli resistenti all’umidità, quindi li abbiamo fissati al loro posto con viti e morsetti, prima di incollarli allo scafo mediante strisce di tessuto di fibra di vetro impregnate e infine uniti tra di loro con epossidica arricchita con silice o microfibra. Terminato questo lavoro, abbiamo rifinito le parti a vista con listelli di mogano stondati o impiallacciati. Non volendo rinunciare al secondo bagno, ne abbiamo realizzato uno in cabina, dietro la porta, installando un wc e un lavabo a scomparsa: ovviamente abbiamo dovuto aprire dei nuovi fori sullo scavo per le relative prese a mare e chiudere i fori delle valvole del vecchio bagno.
Completate tutte le strutture del letto, degli armadi e dei pensili, siamo passati alle ante, quindi, fissati i cielini, abbiamo montato le cornici degli oblò. Poi abbiamo dipinto i mobili e siamo passati alle finiture, attaccando le cornici tra i cielini e le pareti e ricoprendo l’attacco in acciaio delle sartie ai piedi del letto e la trave in carbonio. Per rivestire le pareti della cabina e le parti del cielino prima abbiamo utilizzato la gommapiuma fissandola con colla a contatto, tipo Bostik e ultimando il lavoro con dello sky bianco. Per incollare quest’ultimo abbiamo adottato della colla a caldo: si usa come quella a contatto ma, facendo presa solo dopo il suo riscaldamento, permette di riposizionare e distendere più facilmente la finta pelle.
Per ultimo abbiamo allestito il pagliolato. Per quanto riguarda il letto dovevamo capire la misura minima del materasso per riuscire a sistemarlo a bordo, garantendoci notti felici con Morfeo. Così abbiamo passato un pomeriggio all’Ikea sdraiandoci e provando tutti i materassi finché non abbiamo trovato quello che faceva per noi.
Completare la cabina è stata un’iniezione di fiducia
Quando ad agosto 2018, stufi di lavorare, abbiamo lasciato la nostra vecchia vita per iniziare a vivere in barca e navigare, nella nostra cabina armatoriale mancavano ancora il lavello estraibile, i cassetti e la lunga mensola sulla parete accanto al letto. Li abbiamo costruiti con calma l’inverno successivo, ormeggiati al molo comunale di Poro Heli, nel Peloponneso, dove abbiamo potuto lavorare indisturbati.
Dopo tanti mesi di studio, lavoro e qualche imprevisto, alla fine io e Alessandro siamo molto soddisfatti della nostra nuova cabina: è esattamente come l’avevamo pensata, anzi forse è anche meglio. Soprattutto la realizzazione della cabina armatoriale è stato il primo dei molti lavori che abbiamo realizzato su Sealab e ci è stato di grande aiuto vedere qualcosa di compiuto quando, a volte, venivamo presi dallo sconforto perché ci sembrava che non saremmo mai riusciti a finire tutti i lavori in programma.
Bravi, complimenti. Forse tra un po’ prenderemo anche noi questa decisione di mollare tutto !
Bravissimi! ! Alla fine i risultati si vedono e si godono. Sono sempre del parere che l’occhio del padrone ingrassa il cavallo. C’è poco da fare. Noi nel nostro piccolo cerchiamo di cavarcela, ma voi avete fatto una cosa radicale e importante. Ancora complimenti! !