L’eventualità di essere costretti ad abbandonare la propria barca durante una situazione di emergenza è un evento drammatico che chi va per mare deve mettere in conto. Preparazione, esperienza, dotazioni di sicurezza sono elementi fondamentali per portare a casa la pelle, ma altrettanto importante è pianificare un attento e collaudato piano di abbandono nave di cui va messo al corrente ogni membro imbarcato.
Naufragio. Solo l’idea fa venire i brividi anche al diportista più incallito. Eppure chiunque va in mare, in coscienza, deve fare i conti con questa drammatica eventualità. Basta un groppo improvviso, un’avaria, un errore di valutazione e quella che un attimo prima era una tranquilla navigazione si trasforma in una terribile lotta per riportare a casa la pelle. Le cronache attuali riportano costantemente notizie di incidenti, affondamenti, salvataggi e tragedie anche lungo le nostre coste. Nonostante i progressi della tecnica, l’uso di barche e attrezzature moderne, il mare non si arrende all’uomo ancora oggi e mai lo farà. In realtà le statistiche per fortuna dicono che il naufragio è un evento raro, ma è sbagliato pensare che a noi non possa mai capitare. Nessun marinaio ne è veramente immune. Grandi marinai della storia della navigazione moderna hanno conosciuto il naufragio, da Bernard Moitessier ad Alain Colas a Francis Joyon, solo per citarne alcuni.
Dotazioni di emergenza, fondamentali ma insufficienti
Chi naviga al largo si premura di imbarcare l’autogonfiabile debitamente revisionato, i giubbotti salvagente a norma e magari anche l’Epirb, ossia la boetta che segnala la posizione del naufrago con assoluta precisione per aiutare le autorità preposte al soccorso e salvataggio delle vite umane in mare a procedere al recupero. Come tutte le altre dotazioni di sicurezza che impone la legge come obbligatorie, questi dispositivi possono fornirci una sensazione di tranquillità. Eppure probabilmente ognuno di noi in cuor suo non pensa mai veramente che queste attrezzature un giorno potrebbero salvargli la vita.
Così come al di là delle attrezzature e del sangue freddo, quello che può fare la differenza in una situazione di emergenza è un piano di abbandono nave, ossia una procedura efficace e collaudata di operazioni, ruoli e compiti che l’equipaggio e il comandante devono essere pronti a eseguire in ogni momento, di giorno come di notte, con maltempo e soprattutto senza farsi prendere dal panico.
Prima regola: dispositivi di sicurezza sotto mano
Il piano di abbandono nave non è obbligatorio per legge a bordo di un’imbarcazione da diporto, ma è una procedura lasciata al senso di responsabilità di un armatore o dello skipper che può ampiamente intuire quanto sia fondamentale, né più e né meno di una zattera di salvataggio o di un vhf portatile o ancora di un razzo di segnalazione. Un buon piano comporta innanzitutto la corretta predisposizione a bordo delle dotazioni di emergenza che devono essere facilmente accessibili e riconoscibili anche con uso di etichette di segnalazione. Ogni membro dell’equipaggio inoltre dovrebbe essere messo al corrente dell’esatta ubicazione di questi dispositivi. Inutile e pericoloso per esempio stivare i giubbotti salvagente in un gavone sottocoperta oppure non assicurare stabilmente a bordo la sagola prevista per l’azionamento del sistema di gonfiaggio della zattera di salvataggio.
Sembrerà paradossale ma spesso si vede a bordo delle barche che questa sagola semplicemente fuoriesce di pochi centimetri dall’autogonfiabile senza essere legata né a una galloccia né a un golfare nelle vicinanze della zattera. Immaginiamo come in una situazione di imminente pericolo, nella concitazione degli eventi, un equipaggio in preda alla paura possa facilmente lanciare fuoribordo la zattera senza ricordarsi di assicurare la sagola, fondamentale non solo per aprire l’involucro ma anche per non fare volare via al vento l’unica possibilità di salvezza.
Altrettanto importante è avere con sé un coltello ben affilato da tenere in tasca o assicurato alla cintura con una cima per tagliare rapidamente la sagola stessa dopo che tutto l’equipaggio si è imbarcato, perché altrimenti la zattera affonderà con la barca.
Autogonfiabile a poppa e contenitore stagno in pozzetto
La stessa posizione dell’autogonfiabile a bordo del quale spesso i cantieri e gli architetti moderni non si interessano è assolutamente strategica affinché un piano di abbandono nave sia completato a dovere. Sicuramente il posto migliore per collocare la zattera è a poppa, possibilmente in un apposito vano aperto al mare, dal quale possa facilmente possa essere spinto o fatto cadere fuoribordo, una volta slegato, grazie alla forza di gravità.
Occorrerebbe inoltre tenere a portata di mano nei pressi del pozzetto un apposito contenitore stagno nel quale conservare un Vhf e un Gps, possibilmente protetti da una custodia stagna, dei fuochi a mano, dei razzi e una torcia. Questo contenitore può essere infatti portato a bordo della zattera assieme ad acqua, viveri e indumenti che come riporta un buon piano di abbandono nave dovrebbero essere disponibili in una sacca nei pressi del tavolo da carteggio.
Quando abbandonare la barca?
Spesso la situazione di emergenza oltre alle dotazioni specifiche e a un programma di operazioni attentamente studiato e pianificato richiedono una capacità di valutare rapidamente le contromisure da adottare. Quando è davvero necessario abbandonare la nave è una scelta che spetta solo al comandante e richiede lucidità estrema. Tutti ricordano il celebre caso della perdita del Lady Samantha, un ketch italiano di 13,80 metri. Era il 13 novembre del 2003 quando nel corso di una navigazione in Atlantico da New York alla Martinica, una sartia della barca si sfilaccia alla base e l’equipaggio, composto dallo skipper Simone Salvo e altre quattro persone, decise di tornare al porto di partenza per la riparazione. Durante il rientro però la barca venne investita da una tempesta.
Completamente a secco di vela, lo scafo venne spazzato dalle onde e cominciò a imbarcare acqua. Lo skipper prese la decisione di lanciare il may-day e dopo tre quarti d’ora la Guardia Costiera statunitense li recuperò. Bilancio: barca perduta, ma tutti salvi. Una decisione, quella di abbandonare la barca da parte di Simone, senza dubbio sofferta, ma proprio perché rapida e risoluta, è stata ammirevole e da manuale.
Affondare la barca o lasciarla alla deriva?
Infine in caso di naufragio non bisogna sottovalutare anche gli aspetti legali dell’abbandono nave. Si può per esempio abbandonare la barca ancora galleggiante e che può costituire un pericolo per gli altri naviganti. Cosa succede se il relitto non segnalato viene investito da un’altra barca, magari di notte? A questo proposito il Codice della Navigazione italiano prevede la possibilità di abbandonare l’imbarcazione in caso di pericolo, posto che il comandante, che deve essere l’ultimo a scendere fuoribordo, abbia effettuato senza risultato tutti i tentativi per salvarla. In caso di omissioni a questi doveri la pena per chi è responsabile a bordo è la reclusione fino a due anni. Lo stesso Codice della Navigazione non prevede invece la possibilità di affondare la barca, atto che come naufragio doloso è perseguibile dal Codice Penale sempre con la reclusione da 5 a 12 anni. Da ricordare a scanso di equivoci che anche la Convenzione di Torremolinos del 1997 vieta l’abbandono di rifiuti tossici o nocivi in Mediterraneo come lo sarebbe l’affondamento volontario di una barca per la presenza di gasolio, olii lubrificanti, acido delle batterie e la stessa vetroresina dello scafo che è classificata come rifiuto tossico.
La migliore soluzione è lasciare lo scafo ancora galleggiante alla deriva ma provvedere affinché venga emesso un Avviso ai Naviganti per scongiurare il pericolo di collisioni con altre imbarcazioni.