Rimanere incastrati sotto alla barca scuffiata, un incubo

L’incidente che ha coinvolto Cristiano Bernardelli, il velista di 42 anni di Correggio che nel pomeriggio del 18 giugno è rimasto incastrato con il proprio trapezio sotto il catamarano scuffiato sul lago di Como, riapre il dibattito sulla sicurezza di chi va in barca. Un episodio drammatico la cui dinamica è simile a quella di altri incidenti in Italia e all’estero.

I secondi scorrono lentissimi quando ti ritrovi sott’acqua incastrato con il trapezio alla tua barca appena scuffiata senza possibilità di riemergere. E quei secondi drammatici sono diventati minuti per Cristiano Bernardelli, il velista di 42 anni di Correggio che nel pomeriggio del 18 giugno è rimasto incastrato sotto il catamarano scuffiato al largo di Dorio sul lago di Como.

Il primo a tentare di estrarre Cristiano da quell’inferno di cime e sartie aggrovigliate alla sua imbragatura sott’acqua è stato il suo compagno di equipaggio, ma non ce l’ha fatta. Poi sono arrivati gli operatori della CRI di Colico a bordo di un gommone che avevano assistito alla scena e che si sono immediatamente gettati in acqua per aiutare i due uomini in difficoltà. Alla fine sono riusciti a liberare Cristiano e portarlo a riva. Quando i vigili del fuoco di Bellano sono arrivati sul posto, tuttavia il cuore del velista era già in arresto cardiaco.

Catamarano

Un colpo di vento, la scuffia e quei minuti sott’acqua

A lungo rianimato sul posto dai medici del 118, il 43enne è stato quindi trasportato all’ospedale di Lecco, dove si trova tutt’ora ricoverato in prognosi riservata. Illeso, ma sotto choc, l’amico che si trovava con lui. L’incidente che ha coinvolto i due velisti, che facevano parte del gruppo Fuori di vela di Dorio, è accaduto poco dopo le ore 16 di domenica 18 giugno nella zona del molo vecchio di Dervio, sul ramo lecchese del Lario, una zona del lago molto ventosa e per questo amata dagli appassionati di vela e kitesurf.

La barca si è capovolta probabilmente a causa di un violento colpo di vento improvviso e nella scuffia ha sbalzato fuori il timoniere mentre Cristiano Bernardelli, rimasto agganciato al trapezio è andato sott’acqua insieme alla barca. L’uomo, un architetto molto noto nella sua città perché responsabile dei settori Assetto del Territorio e Qualità Urbana del Comune di Correggio, era solito uscire in barca nel weekend sul lago di Como. Ora versa in condizioni gravi a causa dell’ipossia provocata da tutti quei minuti in cui è rimasto senza respirare e che potrebbe generare danni permanenti. Forza Cristiano!

Scuffia

In un incidente simile morì nel 2013 David Hansa

Questo drammatico incidente porta ancora una volta alla ribalta i rischi concreti della navigazione a vela e la questione sicurezza in acqua. Non è la prima volta che si verifica uno scenario simile, con un velista che rimane incastrato sotto la barca scuffiata. Tutti ricordano la tragedia che coinvolse il 9 novembre del 2013 il 23enne australiano David “Casper ” Hansa morto durante una regata di 18 piedi che si correva a Waterloo Bay, Brisbane (Australia), per essere rimasto intrappolato dal trapezio impigliato dopo una scuffia. Proprio dal padre del povero David, Nick Hansa, in quella drammatica occasione erano arrivate parole di sofferenza ma anche di grande dignità, visto che considerava quella di suo figlio un tragica fatalità: “Credo ancora che la vela sia uno degli sport più sicuri del mondo, non ho memoria di altri velisti morti in regata su derive come queste. David era più in pericolo quando guidava per Brisbane, che non durante una regata in barca”.

 Trapezio

La vela più rischiosa di sci e football

In realtà non è proprio così e la vela purtroppo rimane un’attività con un certo margine di rischio. Secondo uno studio pubblicato proprio quell’anno e realizzato da un gruppo di scienziati del Rhode Island Hospital di Providence (Stati Uniti) era emerso che la vela sarebbe più pericolosa, e persino più mortale, dello sci e dello snowboard messi assieme e molto più letale del football americano.

La ricerca basata sui dati forniti dalla Guardia Costiera Usa per gli incidenti occorsi durante la pratica della vela dal 2000-2011, attestava infatti che i 4.180 eventi censiti avevano causato 271 morti e 841 feriti su una popolazione di velisti composta da circa 8 milioni di persone attive ogni anno.

Che cosa fa morire i velisti? La risposta è semplice: l’acqua. Cadere fuoribordo è la prima causa del decesso negli incidenti registrati: nel 70 per cento dei casi è l’annegamento a mietere vittime soprattutto perché l’82 per cento degli scomparsi non indossava il giubbotto salvagente. Solo successivamente, nel 28 per cento dei casi analizzati in quello studio, troviamo le condizioni meteo avverse come causa dei decessi.

Ribaltare barca

Trapezio incastrato: ribaltare la barca può salvare il naufrago

Gli incidenti imputabili al trapezio e in particolare al rimanere incastrati con l’imbragatura durante una scuffia, non riguardano solo le vicende di David Hansa e Cristiano Bernardelli. Nel 2008 alle isole Hawaii in una regata di Skiff 18 piedi, un altro velista perse la vita in circostanze analoghe. E lo stesso è accaduto in una regata di 420 ad Annapolis. Anche in Italia nel dicembre del 2009 il giovane Vincenzo Sannino fu vittima di un incidente simile durante un’uscita di allenamento come prodiere di un 420 nelle acque di Napoli.

Sono tutti eventi drammatici e sicuramente frutto di una serie di fattori complementari. Negare che la vela sia uno sport completamente privo di rischi però è una grossa sciocchezza e chi va per mare deve esserne consapevole. Istruttori con anni di esperienza con i catamarani leggeri e derive affermano che nel caso un membro dell’equipaggio rimanga incastrato sotto alla barca scuffiata, la prima cosa da fare è cercare di ribaltare lo scafo e far riguadagnare ossigeno al naufrago, e solo dopo provare a liberarlo. Altra regola fondamentale è indossare il giubbotto salvagente e portare sempre con sé un coltello taglia cavi facile da raggiungere anche a occhi chiusi. Insomma quando si va in barca la sicurezza non è mai troppa e da questi incidenti bisogna trarne la giusta lezione.

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

1 Comment
  1. La settimana scorsa sono stato investito da un catamarano di 200 quintali mentre ero al trapezio della deriva contender.
    Il doppio fondo del contender mi ha salvato la vita dalla prua del mostro di acciaio che mi ha sfondato i fianchi della imbarcazione rovesciandomi e passandomi sopra.
    Non è rimasto più niente, albero, vela deriva e scafo polverizzati.
    La fortuna è stata che sono rimasto agganciato allo scafo salvandomi dalle eliche del catamarano.
    A eliche ferme sono uscito incolume in superfice tra i due scafi.
    Da questa esperienza penso meglio rimanere sempre sulla propria barca e non allontanarsi mai da essa per nessun motivo.

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