L’osmosi è un fenomeno degenerativo della vetroresina lento ma spesso inesorabile che solo se preso in tempo è possibile fermare. Ma cos’è esattamente l’osmosi? Quando è nata? Quali sono le sue cause e come si riconosce? Cosa succede se viene trascurata? In questa guida trovate tutti i chiarimenti e i consigli pratici per individuarne la formazione ma anche prevenirla.
L’osmosi è un fenomeno degenerativo della vetroresina che è comparso per la prima volta all’inizio degli Anni ’80, dopo oltre un ventennio che si costruivano barche in vetroresina. I primi a rilevare queste strane bolle sugli scafi dei cabinati a vela e a motore sono stati i diportisti americani, mentre gli studi scientifici sui processi osmotici e le loro cause sono cominciati pochi anni dopo nel Regno Unito. Negli stessi anni l’osmosi cominciò a comparire anche sulle barche italiane e gli addetti ai lavori cominciarono a interrogarsi su come evitarla e in seguito come curarla in modo definitivo.
Come si forma l’osmosi: le cause
Per comprendere il fenomeno dell’osmosi bisogna partire da come nascono le barche in cantiere. La costruzione tradizionale di scafi in vetroresina è realizzata sovrapponendo diversi strati di tessuto di vetro con trama e densità diverse, in base alla loro posizione sullo stampo. Ogni strato è impregnato di resina poliestere a cui viene aggiunto del catalizzatore indurente. Durante queste operazioni delle piccole bolle d’aria possono rimanere imprigionate tra le fibre e al loro interno si trovano resina o tracce di catalizzatore che non hanno reagito e altre impurità, compresi i collanti usati per tenere unite le fibre di lana di vetro. Ma come sono possibili questi problemi tecnici durante procedimenti svolti da professionisti? Durante la lavorazione si è tentati per esempio di diluire i prodotti per rendere più facile l’operazione di impregnare il tessuto o scorrevole il pennello, ma una volta evaporati i solventi lo spessore dello strato e la protezione finale dello scafo risultano insufficienti. Inoltre diluenti e solventi lasciano residui e impurità all’interno e sulle superfici che favoriscono l’osmosi.
Anche la resina epossidica scelta per il trattamento deve essere priva di solventi. Ricerche chimiche hanno evidenziato che la resina poliestere a base di acido isoftalico tende a sviluppare meno bolle rispetto per esempio alla resina poliestere a base di acido ortoftalmico. Anche il gelcoat mescolato in maniera troppo energica può inglobare bollicine d’aria e lo stesso accade quando si aggiunge il catalizzatore alla resina.
Vetroresina di bassa qualità, umidità e lavori approssimativi
La grandezza, la quantità di bolle e di residui dipendono quindi dalla quantità e dalla qualità delle materie prime (resine, collanti, indurenti, etc.), dalla temperatura e il tasso di umidità dell’ambiente durante la costruzione e dall’abilità di chi esegue lavori. Lo scafo ultimato è rifinito esternamente con uno strato di gelcoat, anch’esso a base di poliestere, colorato con pigmenti che contrariamente a quanto si possa pensare non è impermeabile. Con il tempo il gelcoat diventa poroso e lascia infiltrare umidità proporzionalmente alla sua qualità, alla quantità di pigmenti e alla loro colorazione: più sono scuri, più si avrà maggiore porosità. L’acqua infiltrata scioglie le sostanze solubili intrappolate nelle bolle formando un liquido acido e gonfia rendendo visibili le bolle.
Come riconoscerla? Bolle sullo scafo, segnali di osmosi
I segni più evidenti e comuni di osmosi sono di tipo superficiale: si tratta di bolle presenti nella zona compresa tra il gelcoat e lo strato di laminato sottostante. Concentrate sull’opera viva, hanno forma a cupola e dimensione variabile, da meno di un millimetro a un centimetro e mezzo. Le bolle da osmosi sono necessariamente rotonde perché la pressione all’interno della bolla è uniforme verso tutte le direzioni. A volte si presentano allineate in file parallele, formano eruzioni locali e se perforate secernono un liquido scuro dall’odore simile all’aceto. Dilatandosi possono microfratturare il gelcoat facendo fuoriuscire il liquido e sparire alla vista. Questa osmosi, se trattata subito, cioè prima che l’umidità o gli acidi attacchino e indeboliscono gli strati interni, in realtà non provoca danni strutturali.
Più gravi ma meno comuni sono le bolle osmotiche profonde nel laminato. In questo caso i rigonfiamenti possono arrivare ad avere alcuni centimetri di diametro prima di essere notati e la pressione all’interno avere causato delaminazione. L’osmosi può presentarsi anche all’interno dello scafo, sopra la linea di galleggiamento e persino con la barca in secco. La causa è l’acqua piovana o di condensa che ristagna per lungo tempo nelle sentine, in coperta, sotto i serbatoi dell’acqua (soprattutto quelli morbidi) e all’interno di quelli di vetroresina. Anche l’invaso foderato di moquette perennemente umida può essere una minaccia o le zone scoperte in cui l’acqua può infiltrarsi attraverso le fibre di vetro. Ma ci vuole tempo prima che il danno diventi serio e strutturale, quindi basta eseguire accurati controlli e ai primi segni di bolle accertarsi che si tratta di osmosi e intervenire.
Il fenomeno dell’osmosi prosegue finché la barca sarà immersa nell’acqua, per cui se una bolla allo stadio iniziale è di circa 3-4 millimetri di diametro, col passare del tempo e con la permanenza in acqua, aumenterà di diametro perché aumenta la pressione osmotica all’interno della bolla. In pratica, una volta avviato, il processo dell’osmosi prosegue e non è possibile sapere o capire quanto velocemente si espanderà o si aggraverà.
Falsi allarmi, quando non è osmosi
Talvolta capita invece che si trovino bolle tra più strati di antivegetativa, mentre il gelcoat sottostante appositamente carteggiato risulta essere liscio. In questo caso per la verità piuttosto frequente, siamo soltanto di fronte ad un difetto dell’antivegetativa che ha intrappolato del solvente o dell’acqua tra una mano e l’altra, cosa che accade quando per esempio si dà una mano di antivegetativa sopra ad un’altra non perfettamente asciutta o diluita dall’operaio per stenderla meglio. Il consiglio è di tentare di rompere qualche bolla con la punta di una biro: se si rompe facilmente, il difetto riguarda l’antivegetativa ed è trascurabile. Se invece risulterà difficile rompere il gelcoat se non con l’uso di un punteruolo o un coltello, allora è un segno evidente di osmosi.
Anche quando si notano sulla superficie del gelcoat delle bolle non rotonde ma di forma allungata, cioè strette e lunghe, e disposte secondo varie direzioni, molto probabilmente non ci troveremo di fronte a un fenomeno di osmosi ma soltanto a un leggero assorbimento d’acqua da parte della fibra di vetro. Questo in realtà è un caso piuttosto raro che per di più si riscontra su scafi molto vecchi in cui la stratificazione veniva eseguita a regola d’arte. Nonostante ciò anche su queste barche con il passare del tempo il gelcoat diventa fragile e lascia passare un pò d’acqua, ma senza grossi danni.
Barca malata di osmosi. Quanto è grave?
Una barca ha l’osmosi o non ce l’ha. Se ce l’ha, il fatto che sia ad uno stadio iniziale o a uno più avanzato non cambia l’approccio al problema, né cambiano i metodi di cura. Se l’osmosi è poco diffusa si potrebbero attendere 2 o 3 mesi prima di eseguire il trattamento curativo, mentre se l’osmosi è diffusa su tutta la carena e le bolle sono di grosso diametro sarà opportuno intervenire quanto prima. Ma cosa significa un’osmosi leggera o allo stadio iniziale o invece diffusa e grave? Se le bolle sono di piccolo diametro e concentrate in alcune zone della carena, che non ne è ancora completamente affetta, si può parlare di osmosi allo stadio iniziale; se invece lo bolle coprono a centinaia gran parte della superficie della carena e se sono di diametro rilevante, con liquido scuro e sotto pressione, allora potremo parlare di osmosi allo stadio avanzato.
Cosa succede all’interno delle bolle d’osmosi se non vengono curate? L’osmosi è a tutti gli effetti una malattia degenerativa perché, se trascurata, continua ad aggravarsi: infatti, se le bolle rimangono immerse nell’acqua, ne aumenta il diametro e la pressione osmotica spinge il liquido non soltanto alla periferia della bolla, ma anche verso l’interno dello stratificato. Se il liquido trova un efficace barriera in uno strato ricco di resina, la bolla aumenterà soltanto di diametro, ma se il liquido trova altre bolle d’aria nello spessore dello stratificato, questo tenderà ad assorbire ovunque liquido, diventando praticamente un groviera.
Quali barche sono più a rischio di osmosi?
Il fenomeno dell’osmosi è largamente diffuso nelle acque tropicali e nel bacino Mediterraneo perché viene accelerato dal caldo che ammorbidisce il gelcoat, ne aumenta la permeabilità, rende l’acqua più fluida e favorisce le reazioni chimiche. Una buona parte delle barche vecchie, circa il 25-30 per cento, presenta il fenomeno osmotico. Le nuove tecnologie hanno portato negli ultimi anni un grande progresso nella cantieristica navale che ha ridotto il fenomeno osmotico. Ormai è diffusa la costruzione in ambienti ad umidità e temperatura controllate, ma soprattutto utilizzando la laminazione per infusione di resina creando il sottovuoto cioè, aspirando tutta l’aria contenuta nella capillarità della stratificazione del manufatto, attraverso la quale l’umidità è imprigionata. Questo sistema oltre ad azzerare la formazione di osmosi permette di risparmiare il 30 per cento di peso rispetto al sistema tradizionale, conferendo alla barca una maggiore rigidità e robustezza, senza accumuli di resina e con una migliore distribuzione dei pesi.
Una volta riscontrate le bolle, avremo la conferma che è osmosi misurando il tasso di umidità sulla carena con un apposito strumento, l’igrometro: su uno scafo sano i valori misurati sulla opera viva e sull’opera morta dovrebbero essere gli stessi. La misurazione dovrebbe riportare valori di umidità inferiori all’ 1%. Una volta appurato che lo scafo presenta fenomeni osmotici dovete ricorrere al più presto a un trattamento specializzato in cantiere.