Lo smaltimento di razzi paracadute, fuochi a mano e boette fumogene, rimane ancora un problema irrisolto in Italia che in materia prevede norme specifiche ma del tutto inattuate per varie ragioni. La conseguenza è che i diportisti alla data di scadenza di questi dispositivi non sanno che fare e spesso finiscono per dare atto a comportamenti illegali e soprattutto rischiosi per gli altri e l’ambiente.
Per aggiornamenti leggi: Smaltire i razzi, cosa cambia con il Cogepir
Quello dei razzi di segnalazione da diporto in Italia è sempre stato un argomento scottante in tutti i sensi, soprattutto sul piano normativo. In particolare è lo smaltimento di questi dispositivi, classificati come rifiuti pericolosi, che da anni versa in un pantano di lacune legislative, lungaggini burocratiche, regolamenti adempitivi incompleti, interpretazioni fumose e rimbalzi di competenze ministeriali che non trovano una soluzione chiara e definitiva su come e quando liberarsi di queste dotazioni. A rimetterci naturalmente sono i soliti diportisti che per legge sono obbligati a imbarcare tali segnali di soccorso, ma poi alla scadenza degli stessi non sanno come fare a sbarazzarsene in maniera legale e soprattutto senza inquinare il territorio.
Da qui soluzioni estemporanee, pericolose e illegali, come per esempio spararli a Capodanno, gettarli in mare o nei cassonetti dei rifiuti. Ricordiamo che secondo recenti stime la vendita annuale in Italia di questi dispositivi è di circa 1,2 milioni di prodotti. Vediamo allora di vederci chiaro sull’intera vicenda e capire lo stato dell’arte di questo importante tema che interessa i diportisti italiani.
I Segnali di Soccorso obbligatori per chi naviga
I cosiddetti “segnali di soccorso” rientrano nella categoria delle dotazioni di sicurezza obbligatorie previste per legge sulle unità da diporto. Di tali dispositivi di segnalazione fanno parte diverse tipologie di prodotti: razzi a paracadute, fuochi a mano e boette fumogene galleggianti ciascuno con caratteristiche e funzionalità ben precise.
Il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 387 del 29 settembre 1999 e successivo Regolamento di attuazione del Codice della Nautica da diporto (decreto ministeriale 29 luglio 2008, n. 146) stabiliscono tipologia e quantità che devono essere presenti a bordo di ciascun unità in base alla distanza di navigazione dalla costa secondo il seguente schema:
- senza limiti dalla costa (3 boette fumogene, 4 fuochi a mano a luce rossa e 4 razzi a paracadute a luce rossa);
- entro 50 miglia (2 boette, 3 fuochi e 3 razzi);
- entro 12 ed entro le 6 miglia (2 boette, 2 fuochi e 2 razzi);
- entro le 3 miglia (una boetta e due fuochi).

Tutto regolamentato, ma lo smaltimento?
I segnali devono essere conformi ai speciali requisiti tecnici sempre stabiliti dal decreto n. 387 del 29 settembre 1999 e hanno una durata di 4 anni dalla data di fabbricazione alla scadenza dei quali devono essere obbligatoriamente sostituiti. E qui si arriva al problema: come smaltire i “razzi” una volta scaduti?
In relazione allo smaltimento dei segnali di soccorso, dopo anni di vuoto legislativo italiano, il 12 maggio del 2016 il Ministero dell’Ambiente ha finalmente emanato il decreto n. 101 che individua appunto le modalità di raccolta, smaltimento e distruzione dei prodotti esplodenti, compresi quelli scaduti, e dei rifiuti prodotti dall’accensione di pirotecnici di qualsiasi specie, ivi compresi quelli per le esigenze di soccorso, ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 29 luglio 2015, n. 123.
Cosa dice in sostanza questa norma? A occuparsi del ritiro di fuochi a mano, razzi di segnalazione e boette fumogene scaduti deve essere, gratuitamente, chi li vende. In altre parole i cosiddetti “articoli pirotecnici scaduti, in disuso o comunque non più suscettibili di uso per le finalità cui sono destinati” devono essere raccolti gratuitamente dal distributore. Nei punti vendita, recita sempre il regolamento, deve essere predisposto un apposito contenitore, rispondente a precise norme, in maniera tale da non costituire un pericolo. Al ritiro del materiale presso il rivenditore devono poi provvedere i fabbricanti e gli importatori di questi prodotti per poi trasportarlo in appositi impianti di smaltimento. Al rivenditore di questi segnali di soccorso, conclude la legge, spetta anche il compito di indicare con avvisi al pubblico le modalità e i luoghi di consegna. Un obbligo che sia chiaro vige anche per gli store nautici on line e per vendite comunque effettuate a distanza.
Insomma l’approccio del provvedimento è quello alla “francese”, ossia s’intende coinvolgere fabbricanti, importatori e distributori sia per organizzare il ritiro gratuito nei negozi specializzati, sia per il loro successivo smaltimento. Un metodo che viene utilizzato anche in altri settori, come per esempio quello della raccolta delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), e che in teoria appare essere l’unico efficace sul campo.
Finalmente una legge chiara… anzi no, siamo in Italia!
Tutto risolto allora? Manco per idea! All’uscita del Regolamento, Ucina, ossia la Confindustria Nautica, ha subito preso le distanze alla legge contestando in primo luogo il fatto che, così come descritta, la nuova disciplina impone al fabbricante e all’importatore di questi articoli l’obbligo di organizzare un servizio complesso e capillare di raccolta dei resi (compreso un complesso sistema di stoccaggio), che avrebbe avuto la necessità di un periodo di transizione per potervi ottemperare, periodo che non è invece stato previsto. La normativa è inoltre “fumosa” e presenta numerose lacune che la rendono praticamente inapplicabile.
Ad esempio Ucina contesta che i razzi di soccorso in disuso vengono per la prima volta equiparati a rifiuti, in contrasto con il Testo Unico Ambientale che esclude chiaramente dal novero dei rifiuti “i materiali esplosivi”, con ciò modificando e aggravando radicalmente le condizioni e i costi per il loro trasporto, sia a carico dell’utente, sia a carico del distributore/produttore.
La nuova normativa, afferma l’Ucina, prevede poi che il diportista depositi i rifiuti pirotecnici in appositi contenitori localizzati presso il distributore autorizzato, in netto contrasto con le norme di pubblica sicurezza che fanno divieto a soggetti terzi non autorizzati di accedere ai depositi di materiale esplosivo.
Infine si richiede che i prodotti pirotecnici siano neutralizzati per combustione prima di essere depositati presso i centri di raccolta, operazione che, sempre secondo il Testo Unico di Pubblica sicurezza, deve avvenire solo ed esclusivamente in appositi impianti di smaltimento autorizzati non specificando le modalità di trasporto nè il tipo di autorizzazioni necessarie.
Unitamente ad Ucina anche i maggiori produttori italiani si sono ufficialmente opposti a questo decreto zoppo, reclamando che la norma così com’è, comporterebbe costi esorbitanti, entra spesso in contraddizione con norme già esistenti e lascia vuoti enormi in alcuni passaggi, fallendo l’obiettivo di regolamentare tutta la questione in maniera chiara, organica, univocamente interpretabile e soprattutto realmente applicabile.
Allora, come devo smaltire i mie razzi?
Insomma il problema dello smaltimento di queste preziose dotazioni di bordo una volta scadute non è ancora risolto e nessuno sa davvero quale comportamento tenere.
Ai diportisti, come al solito, non rimane che arrangiarsi, provando a rivolgersi ai locali uffici di Capitanierie di Porto, Carabinieri, Pompieri ecc… ma, come avrà modo di testimoniare chi ci è già passato, nemmeno le autorità hanno ovviamente indicazioni corrette da dare e si limitano a fornire vaghi suggerimenti “ufficiosi”. Buttarli in mare o spararli a capodanno non sono proprio risposte che vorremmo sentire e soprattutto quest’ultima soluzione ci espone a potenziali rischi visto che si tratta comunque di prodotti scaduti. Che fare dunque?
Ai fini della sicurezza bisognerebbe in ogni caso neutralizzarli. Un metodo efficace consiste nell’immergerli nell’acqua in modo da bagnare le polveri e renderle così inoffensive. Si può aprire l’involucro di carta o plastica (non quello in metallo) e svuotarne il contenuto in un secchio d’acqua. Si lascia quindi decantare la soluzione ottenuta per circa quattro giorni in modo che i composti si separino perdendo la nocività. Dove buttare i prodotti inerti resta infine una domanda a cui non c’è risposta, almeno fino a quando la questione non verrà presa in mano in maniera organica ed intelligente come tutti quanti, dal produttore al consumatore, chiedono da anni.
Ma siamo in Italia… Quanto dovremo ancora aspettare?
Vorrei sapere come provvedono gli altri paesi: certamente qualcun’altro avrà risolto il preblema in modo semplice ed efficacie: COPIAMOLO!!!
Gli artificieri della polizia ritirano i razzi scaduti gratuitamente.
Per la verità io ho risolto brillantemente il problema:
li ho portati con me in aereo, me li hanno sequestrati in frontiera e me ne sono quindi liberato.,
Sono un appassionato di mare e da 50 anni che ho barche a vela latina ,e un problema non da sottovalutare ,i mare è una discarica ,ci guadagnano tutti chi li fabbrica e chi li vende .il governo deve fare trovare una soluzione an entrambi .
Un saluto Lorenzo
Scusate prendere esempi da paesi civili e attenti protrebbe essere un ‘idea
Consiglierei di responsabilizare molto di più chi è addetto ,per legge,ai controlli in mare …..Sono loro che dovrebbero indicarci come smaltire questi materiali!!
Credo che se ci obbligano ad averli a bordo, quindi comprarli, debbano anche dirci come smaltirli. Penso siano sistemi desueti oggi siamo pieni di telefonini e rintracciabili con sistemi elettronici/satellitari anche a prova d’acqua. Magari sarebbe piu’ razionale obbligare a tenere a bordo un piccolo rilevatore di posizione, simile a quello che usano in montagna.Il solito gioco d’interessi.
Salve a tutti
Ho trovato una ditta di Trieste che ritira i razzi scaduti però al costo di circa 2.5€ + IVA al pezzo (20€ circa per una dotazione entro 12 nm) la nuova dotazione entro 12 costerebbe inoltre 85€ +IVA. diventa davvero ogni anno più frustrante stare alle regole.