Costruzione yachts: la stratificazione della vetroresina

La maggior parte degli yachts da crociera sono realizzati in vetroresina mediante il processo della stratificazione che può essere manuale o automatica. Vediamo esattamente di cosa si tratta, i materiali impiegati, i fattori critici e i sistemi più utilizzati.

Per noi diportisti sapere come viene costruita un’imbarcazione è fondamentale non solo per il piacere di conoscere, ma soprattutto per valutare la qualità, il valore economico e la sicurezza dei mezzi che utilizziamo per vivere la nostra passione. La stragrande maggioranza degli yachts sono realizzati in vetroresina e una delle tecniche di costruzione di cui sicuramente avete sentito parlare è la stratificazione.

Vediamo allora in maniera approfondita di cosa si tratta, i materiali impiegati, gli obbiettivi e i fattori critici di questo processo utilizzato da tutti i cantieri.

Stratificazione vetroresina

Stratificazione vetroresina: tante fibre sovrapposte

In generale la stratificazione della vetroresina è un procedimento attraverso cui le stuoie di fibra di vetro vengono impregnate di resina e stese sugli stampi della barca. Di solito questi strati sono molti e variano secondo il tipo di progetto, le sue finalità e le dimensioni della carena. È proprio dalla sovrapposizione di questi strati di fibre che deriva il nome di questo metodo di costruzione della barca, chiamato appunto “stratificazione”. Oltre alla costruzione di uno yacht la stratificazione è efficace anche per effettuare riparazioni o modifiche alla barca, come per esempio rialzare lo specchio di poppa, oppure riparare una parte danneggiata dello scafo o ancora costruire una struttura supplementare a bordo.

Molti cantieri per le grandi produzioni di serie di yachts utilizzano la stratificazione della vetroresina automatica per mezzo di speciali macchine a controllo numerico che gestiscono l’esatta quantità di materiale da utilizzare. Tuttavia ancora oggi la stratificazione manuale, se eseguita correttamente, è in grado di fornire ottimi risultati, spesso superiori a quelli raggiungibili con i macchinari tecnologici. Affinché una carena stratificata sia robusta e affidabile, è necessario però che la sua costruzione sia effettuata rispettando almeno due regole fondamentali: i tempi di lavorazione e le condizioni climatiche dell’ambiente di produzione.

Stratificazione vetroresina

Stratificazione: sequenza precisa di operazioni

Ciascuno strato di vetroresina deve essere sovrapposto agli altri prima che il processo di polimerizzazione degli strati confinanti o sottostanti sia completamente terminato, in modo che l’unione sia perfetta e stabile nel tempo. Per questo motivo è necessario che la costruzione di ciascuna stampata avvenga con sequenze di lavorazione ininterrotte e prestabilite. Così, per esempio, madieri e correnti vanno resinati sulla carena preferibilmente durante la sua costruzione. La coperta, invece, per problemi legati al ciclo di produzione, viene quasi sempre unita all’opera viva in una fase successiva. L’incollaggio dei due gusci viene eseguito fasciando tutta la superficie di giunzione con fibra di vetro e resina. Sugli scafi più grandi, oltre i 10 metri, per evitare disallineamenti di assemblaggio, carena e coperta vengono prima unite con rivetti o addirittura con bulloni passanti, che hanno anche una funzione di centraggio.

Un aspetto da non sottovalutare è il controllo della temperatura e del grado di umidità delle aree di produzione, fattori che influenzano in modo determinante il processo di catalisi che sta alla base della robustezza e della durata di qualsiasi manufatto di vetroresina.

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Stratificazione vetroresina

Stratificazione vetroresina: sistemi di rinforzo

Un elemento fondamentale del processo di stratificazione della vetroresina è il sistema di rinforzo dell’insieme. Il materiale più utilizzato ancora oggi è il legno, anche se questo elemento naturale, indipendentemente dalla sua durata, non sempre rappresenta la soluzione migliore per il costruttore. Per rinforzare la carena esistono anche altre soluzioni. I cantieri statunitensi, per esempio, preferiscono aumentare lo spessore della vetroresina della carena e almeno su scafi non troppo grandi non montano alcun tipo di rinforzo interno.

Altri cantieri invece costruiscono ragni di rinforzo di sola vetroresina (senza neppure il poliuretano) utilizzando stampi femmina dello stesso tipo di quelli impiegati per dare forma alle carene. In questi casi lo scheletro di correnti e madieri viene resinato all’opera viva in una fase successiva. Anche le carene dei gommoni sono per esempio irrobustite con una trama di correnti e madieri o con altre strutture di forme simili. Un’altra tecnica ampiamente utilizzata consiste nel rinforzare l’opera viva con scatolati di grandi dimensioni che collegano i due piani di carena o la superficie interna dei pattini con il ginocchio di murata.

I materiali: sua maestà, la resina

Materiale centrale per il processo di stratificazione della vetroresina è la resina stessa, sia essa poliestere, vinilica o epossidica. La resina ha forma liquida o gelatinosa e quando a questa viene aggiunto un catalizzatore, si innesca un processo chimico che la porterà alla solidificazione entro un tempo predeterminato che varia a seconda del tipo di resina, del catalizzatore e della temperatura dell’ambiente in cui si compie l’operazione. La resina non ha una funzione strutturale, ma funge da collante tra due tessuti. Quindi, l’idea che molti diportisti hanno che una barca sia fatta bene perché è stratificata con molta resina, è in realtà sbagliata. Una barca stratificata con un eccesso di resina risulta solo molto pesante, ma non sempre molto robusta. Per ottenere uno scafo solido è necessario lasciare nello stratificato la minor quantità possibile di resina. Il vero fattore importante è la qualità della resina.

Tessuti stuoie e mat

La resina serve a incollare i tessuti tra loro. Questi, detti anche “stuoie”, nella lavorazione di serie, sono di fibra di vetro, ma per barche di qualità elevata, possono essere di Kevlar o in carbonio. Sono i tessuti a determinare la robustezza di una barca. Il progettista decide per ogni punto dello scafo che tipo di tessuto va usato. Maggiore è la qualità del tessuto, minore sarà la quantità che ne servirà, quindi il peso del prodotto finale. Esistono molti tipi di tessuto che si differenziano oltre che per il materiale con le quali sono realizzati anche per il modo con cui sono orientate le fibre che li compongono e per il loro peso al metro quadro. Stuoie di materiali diversi, tra l’altro molto spesso sono incompatibili tra loro perché muovendosi sotto carichi e sollecitazioni in modo diverso, si scollano, dando vita al fenomeno della delaminazione.

Un altro tipo di tessuto è il cosiddetto mat che consiste in un film di resina sul quale si spruzzano dei fili di vetro alla rinfusa. Questo tessuto non ha nessuna resistenza alle sollecitazioni e viene utilizzato prevalentemente nei primi strati, quelli più vicini al gel coat. La sua funzione è quella di far sì che il gel coat, a contatto con la trama delle stuoie, non ne prenda il disegno. In alcuni casi, il mat si usa anche tra una stuoia e l’altra per non farle scivolare l’una sull’altra.

Il processo di stratificazione

La posa degli strati di mat e stuoia che costituiscono lo scafo e la tuga della barca è preceduta dalla spruzzatura del gelcoat che deve essere di buona qualità e spruzzato in modo da formare una pellicola molto sottile, circa 3-4 micron. Sulla pellicola di gelcoat si pongono un paio di strati di mat che hanno la funzione di non permettere all’intreccio della stuoia di marcare il gelcoat. Partendo dal fatto che la resina sale, ma non scende, per stratificare bisogna prima posare la resina con il pennello e poi poggiarvi sopra il tessuto. Questo verrà pressato con un rullo in modo da farlo impregnare di resina e far fuoriuscire quella in eccesso. La resina in eccesso va rimossa con cura,perché rappresenta solo peso inutile. Più è accurato questo processo di pulitura, più alta sarà la qualità dello stratificato. In ultimo, prima di passare allo strato successivo, bisognerà rompere, con un rullo di metallo chiodato, tutte le bolle d’aria che si sono formate nella posa del tessuto.

Dopo il mat si cominciano a stendere gli strati di stuoia. Essendo la carena la parte che dovrà sopportare gli sforzi maggiori, è in questa zona che verranno messe le stuoie di qualità più elevata e in maggior numero, con la conseguenza che lo spessore dello scafo non sarà omogeneo, ma degraderà via via che ci si allontana dalla zona della chiglia. Quando si arriva alla posa degli ultimi strati, se la barca è di tipo strutturale, vengono posizionate le strutture, longheroni, madieri e serrette; quindi si continua a stratificare, inglobando queste nello scafo. In alternativa, le strutture possono essere stratificate a terra in un apposito stampo che si chiama “ragno” per poi essere posizionate nello scafo e a questo resinate.

Riparare la vetroresina

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

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