Coronavirus: le mascherine non smaltite finiscono in mare

Con la richiesta spasmodica di mascherine di protezione dal Coronavirus è aumentata a dismisura la produzione mondiale. Soddisfare tale richiesta è un problema, ma non da meno è il corretto smaltimento di questi accessori dopo il loro uso. A rimetterci altrimenti sono le nostre spiagge e i nostri mari.

Tra gli effetti della diffusione del Coronavirus nel mondo c’è la richiesta spasmodica di mascherine per proteggere le vie respiratorie. Con l’aggravarsi dell’infezione ad oggi è sempre più difficile trovarle, perché esaurite oppure in vendita a prezzi esorbitanti. Tutti le vogliono ma in realtà non tutti devono indossarle e l’enorme domanda è anche uno dei motivi degli attuali problemi di approvvigionamento per chi ne ha davvero bisogno. Non ultimo c’è il problema di smaltire correttamente l’enorme quantità di quelle monouso. In molti hanno pensato bene di gettarle in campagna o in mare, dove gli animali marini possono confonderle con cibo, come già avviene con le solite buste di plastica e altri rifiuti.

Ha fatto il giro del mondo l’immagine di Gary Stokes, fondatore del gruppo ambientale Oceans Asia, che durante un’operazione di salvaguardia del mare in una delle spiagge di Hong Kong ha ritrovate 70 maschere gettate in appena 100 metri di spiaggia e quando è tornato una settimana dopo, ce ne erano altre 30 nuove. “È stato abbastanza allarmante per noi. Perché altre spiagge della città e nel resto del mondo raccontano una storia simile”, ha raccontato.

Solo la Cina produce 120 milioni di pezzi al giorno

Prima del Covid-19 la Cina produceva 20 milioni di mascherine al giorno. Per uso ospedaliero, industriale e per la gente normale alle prese con il quotidiano inquinamento da polveri sottili. Quando è scoppiato il Coronavirus le autorità hanno prima consigliato e poi ordinato alla popolazione di indossare la maschera. Con soli 20 milioni di pezzi al giorno e 1,4 miliardi di cittadini le maschere sono subito scomparse dai negozi cinesi, con conseguenti scandalosi aumenti di prezzo, gente spaventata che si copriva naso e bocca anche con le bucce delle arance e con bottiglie di plastica divise a metà. Anche negli altri paesi in cui si è diffuso il virus è stato lo stesso.

Oggi solo la Cina produce 120 milioni di maschere al giorno. Tra le industrie impegnate nella produzione c’è addirittura la Aviation Industry Corporation of China di Chengdu, specializzata nella costruzione dei caccia J-20 a tecnologia stealth, orgoglio dell’aeronautica militare. La tecnologia di precisione avionica permette a ogni macchinario di sfornare 100 maschere al minuto, 24 ore su 24. La fabbrica dei J-20 ha impiegato 258 ingegneri e tecnici nella risoluzione del problema.

Anche l’Italia invita a smaltirle correttamente

Produrne a sufficienza per le richieste della popolazione mondiale è un’impresa, ma non da meno è il problema di smaltire tutta queste mascherine in circolazione. Nello stesso decreto emanato di recente dal governo italiano si dice espressamente di smaltirle in maniera corretta similmente alla differenziazione di altri rifiuti simili. La stessa accortezza andrebbe utilizzata per i guanti in lattice e i tamponi laringei.

Tali rifiuti speciali dovrebbero prendere la strada dei termovalorizzatori, diventando energia. I tamponi, guanti e mascherine tuttavia sono di difficile riciclaggio. Per poter smaltire questo surplus di rifiuti, in Italia sono stati impegnati ben oltre 90.000 addetti operanti in tutte le imprese che hanno il compito di raccoglierli e gestirli. Anche loro continuano ad operare perché devono garantire un servizio pubblico essenziale. Il rischio del non corretto smaltimento, oltre alla diffusione involontaria del virus che rimane su sulla superficie di questi accessori, è quella di inquinare ulteriormente i nostri mari. Un danno che a maggior ragione, visto l’andazzo del pianeta, non possiamo proprio permetterci.

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

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