Ad Maiora: l’orribile fine di un trimarano leggendario

Il relitto del trimarano Ad Maiora di Bruno Cardile è stato ritrovato lo scorso 6 gennaio su una spiaggia di Bengasi in Libia. Distrutto e depredato di ogni cosa. Una fine drammatica per un multiscafo glorioso: con il nome di Fleury Michon IX vinse la Ostar del 1988 ed è appartenuto a navigatori eccellenti.

Distrutta dal mare e cannibalizzata dall’uomo. Un relitto, anzi un fantasma di sé stessa. La vita di una barca può finire così, anche se si tratta di un multiscafo glorioso, anzi leggendario, che ha visto al timone i più forti navigatori del mondo, ha macinato miglia su tutti gli oceani e si è reso protagonista di imprese sportive che rimarranno impresse nella storia.

È successo al trimarano Ad Maiora di Bruno Cardile che dopo essere stato abbandonato dall’equipaggio a causa di una rottura a uno scafo durante l’ultima edizione della Middle Sea Race lo scorso 23 ottobre 2019 è stato ritrovato il 6 gennaio 2020 in Libia su una spiaggia nei pressi di Bengasi. Un tratto di costa ad alto rischio tra l’altro perché quella è una zona di guerra.

Un poliziotto libico ha trovato il relitto

Al poliziotto che ha effettuato il ritrovamento della barca in un primo momento quell’insieme di rottami sembravano addirittura i resti di un jet militare turco. Difficile per chiunque del resto immaginare le linee sportive di un trimarano da regata che si celavano in quel relitto. Le foto impietose di Ad Maiora, anzi di quel che ne rimaneva, hanno fatto presto il giro del mondo: il timone spezzato, gli oblò spaccati, la poppa strappata via, niente più scafi laterali, ma solo parte dello scafo centrale con le traverse ridotte ormai a quattro miseri monconi, il rig andato. Ferite inflitte certamente dal mare, dagli scogli e dalle burrasche incontrate lungo le oltre 600 miglia percorse alla deriva dal luogo in cui la barca è stata abbandonata dall’equipaggio.

Vittima di sciacalli che hanno depredato tutto

Ma non solo. Più del mare può l’uomo a volte. La barca infatti è stata presa d’assalto dagli sciacalli che hanno portato via tutti gli allestimenti, inclusi i winch, tutto il cordame e perfino il Wc elettrico. Dopo il ritrovamento di Ad Maiora Bruno Cardile ha dichiarato tutto il suo sconforto: “Col dolore nel cuore, voglio dire che comunque è stato un grande onore e privilegio poter riportare in vita una barca leggendaria e poterla farla correre felice, ancora una volta, prima del suo addio. Adesso è il momento di guardare avanti, elaborare questo lutto e cercare altre sfide. Tutto insegna, soprattutto il dolore”.

Il naufragio durante la Middle Sea Race

Dopo essere stato costretto ad abbandonarla nella Middle Sea Race Cardile oggi si trova anche ad affrontare la gogna dei “leoni da tastiera” che gli rimproverano di essere stato troppo precipitoso e di avere lasciato il multiscafo a quel tragico destino. Lui naturalmente ha rivendicato la sua scelta adottata soltanto per salvaguardare la sicurezza degli uomini che erano a bordo con lui. Come si può biasimarlo?

Era il 23 ottobre quando sulla rotta tra Favignana e Lampedusa Ad Maiora subisce una profonda lesione allo scafo di sinistra. È Attilio Micciché che in quel momento era di guardia al timone ad accorgersene. In un primo momento però a causa del wrapping non si riesce da subito a quantificare l’entità del danno, ma dopo pochi minuti anche il rivestimento cede mostrando per intero la reale situazione: lo scafo di sinistra è squarciato, proprio all’altezza delle lande, da una profonda crepa che col passare del tempo diventa sempre più critica. C’è Scirocco forte e mare duro. Cardile decide quindi di lanciare il “Mayday” e attivare il Dsc. Tutto l’equipaggio si getta in acqua per essere poi recuperato dall’unità CP319 della Guardia Costiera di Lampedusa. Lui e il suo equipaggio vengono così portati sull’isola siciliana dove aspetteranno che le condizioni meteo marine risultino favorevoli al recupero dell’imbarcazione.

Alla deriva, poi rimorchiata dai pirati poi abbandonata

Proprio per non perdere di vista la barca e tentare di recuperarla in un secondo momento, Cardile poco prima di sbarcare accende il suo PLB personale e lo lascia parzialmente nascosto a bordo del multiscafo. Dopodiché insieme agli organizzatori della regata fa oscurare al pubblico la posizione di Ad Maiora che resta visibile solo a lui tramite un link riservato. Da quel momento in poi capisce però che la barca all’inizio va semplicemente alla deriva, ma poi viene trainata da ignoti che successivamente l’abbandonano e ne fanno perdere le tracce. Il vento forte e il mare formato non aiutano. Ad Maiora nei giorni successivi viene avvistata sia da aerei che da pescatori vicino Lampedusa, poi nei pressi di Gozo, poi ancora a 20 miglia da Malta. Poi più nulla fino al drammatico ritrovamento finale sulla spiaggia libica.

Il restauro di Cardile nel 2018

Bruno Cardile aveva messo le mani su quel trimarano nel 2018 restaurandolo completamente per dargli nuovo lustro sui campi di regata internazionali: aveva sostituito completamente il sartiame, acquistato un nuovo gioco di vele, nuovi avvolgitori delle vele di prua, nuove scotte e cime, una nuova una suite di strumenti ed elettronica di navigazione, compreso un pilota automatico, fino alla nuova veste grafica studiata dalla Nuova Accademia del Design di Verona.

Insomma Ad Maiora si preparava a una nuova vita sportiva, magari altrettanto gloriosa come quella passata. Già perché quel trimarano altro non era che il leggendario multiscafo di 20 metri della classe Orma 60 varato nel 1988 col nome di Fleury Michon IX e appartenuto a vere icone della vela, come l’indimenticata Florence Arthaud e il grande Philippe Poupon. Proprio quest’ultimo l’aveva fatto progettare dall’inglese Nigel Irens per vincere la Ostar, regata transatlantica in solitario dall’Inghilterra (Plymouth) agli Stati Uniti (Newport), una delle regate più estreme e ambite.

La sfida di Poupon e Irens si concretizzò in un trimarano di 60 piedi studiato in ogni dettaglio. Per i materiali di costruzione si optò per una struttura in kevlar con rinforzi longitudinali in carbonio. Allo scafo centrale, stretto e lungo 18,28 metri, furono affiancati due scafi laterali della stessa lunghezza, ciascuno dotato di un piccolo timone. Ultraleggero, il multiscafo dislocava appena 5,4 tonnellate. Il piano velico era a sloop armato di genoa e randa di 200 metri quadrati.

La gloria sugli oceani non si cancella

La costruzione del multiscafo fu affidata al cantiere francese Jeanneau sotto la direzione lavori di Jean-François de Prémorel. Il risultato ottenuto da Philippe Poupon nella Ostar del 1988 la dice lunga sull’esito del lavoro: Fleury Michon IX non solo mise a segno la vittoria assoluta, ma per concludere le 2.800 miglia del percorso impiegò 10 giorni, 9 ore e 15 primi, migliorando il record della regata di circa sei giorni. I radianti giorni di gloria di un trimarano fuori dal comune che quei miseri resti ritrovati su una spiaggia in Libia portano ancora nell’anima. Ad maiora, appunto, come dicevano i latini…

David Ingiosi

Appassionato di vela e sport acquatici, esperto di diporto nautico, ha una lunga esperienza come redattore e reporter per testate nazionali e internazionali dove si è occupato di tutte le classi veliche, dalle piccole derive ai trimarani oceanici

1 Comment
  1. Una doverosa precisazione: le miglia nautiche percorse dal trimarano non sono 6oo ma probabilmente 400 circa a meno che girando intorno a Malta e Pantelleria dopo l’abbandono dell’equipaggio non ne abbia percorse altre 200…

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