Cosa significa partecipare a un rally oceanico? Lo skipper Claudio Cupellini è appena tornato dalla Arc+ 2018, traversata atlantica in flottiglia riservata a barche da crociera ed equipaggi non professionisti. Nelle sue parole il racconto di questa esperienza intensa su vari livelli: tecnico, umano e soprattutto relazionale.
I rally oceanici rappresentano un’ottima opportunità per portare a termine lunghe traversate e giri del mondo a vela in totale sicurezza: durante questi eventi si naviga in flottiglia, secondo scali e tappe programmate e con l’assistenza costante degli organizzatori che tra l’altro in ogni scalo organizzano feste, eventi e tour guidati. Uno di questi rally, tra i più famosi e meglio organizzati, è la Arc (Atlantic Rally for Cruisers), traversata atlantica riservata a imbarcazioni da crociera ed equipaggi non professionisti.
La manifestazione, ideata nel 1986 dal giornalista, scrittore e navigatore Jimmy Cornell, è un evento unico nel suo genere, che negli anni è cresciuto fino a diventare non solo un trasferimento in flottiglia per tanti equipaggi che desiderano attraversare insieme l’oceano, ma anche una competizione velica e un’occasione per completare la propria formazione di skipper “oceanico”. Ma com’è davvero navigare in oceano con questa formula? Ce lo racconta in questa intervista lo skipper Claudio Cupellini che è appena tornato dalla Arc+ 2018 dove è stato membro dell’equipaggio di Lallona, un Sun Odyssey 49i.
– Ciao Claudio, due parole per presentarti a chi non ti conosce. Quando hai cominciato a navigare e cosa rappresenta per te andare per mare?
Ho 47 anni, lavoro per una società di servizi e ho cominciato a navigare in maniera seria circa 20 anni fa. Per qualche anno ho anche avuto una barca mia e in futuro spero di averne un’altra. Di fatto mi piace considerare l’attività di skipper come il mio secondo lavoro. Il mare per me è sempre stato una costante essendo cresciuto a Roma e avendo una casa sul litorale, vicino Anzio. Ho sempre preferito l’acqua della piscina e del mare alla polvere dei campi da calcio. Per me andar per mare significa rincorrere il mio sogno di essere libero: mai come quando lancio l’ultima cima che tiene la barca in banchina, mi sento così vivo e libero. Senza tralasciare l’aspetto sociale che unisce un bel gruppo di velisti, come quello che mi ha accolto.
– Hai appena concluso la Arc+ 2018, traversata atlantica in flottiglia. Come è nata per te questa esperienza in oceano?
L’oceano rappresenta per ogni persona che si avvicina alla vela il banco di prova più importante al quale sedersi. Riuscire a realizzare questo sogno è di per sé un’immensa soddisfazione e un momento di grande crescita, si diventa grandi. Ho avuto la possibilità di partecipare alla ARC+ 2018 grazie al progetto Papesosa (acronimo di PAolina, PEppe, SOfia e SAra), una famiglia che ha deciso di prendersi un anno sabbatico, ha comprato una barca, Lallona, e ha deciso di passare l’inverno ai Caraibi. Le due bambine a bordo seguono un assiduo percorso di studio, con il prezioso aiuto della mamma Paolina che in questo esprime il suo massimo amore per le bimbe davvero deliziose. Peppe (Giuseppe) è un ingegnere che lavora in campo ferroviario a Berlino e la sua grande passione per la vela si è trasformata in realtà attraverso questo vagabondare tra i mari dei Caraibi e del Mediterraneo. Personalmente sono stato proposto al gruppo da due amici: Pier Paolo Tommasi che fa parte della società Miceli Vela che opera in ambito nautico con charter, noleggio imbarcazioni e servizi nautici in genere e Luca Pelo, esperto regatante dal quale ho imparato anche a “respirare in oceano”. Marco Morra, avvocato di grido prestato alla nautica invece è capitato a bordo in quanto amico di Giuseppe e si è rivelato quanto mai prezioso e di indiscussa esperienza da viaggiatore oltre che armatore di un glorioso Alpha 9.5 vintage, con il quale solcheremo il Tirreno nella prossima Roma per tutti!
– Puoi descrivere la barca e come si è comportata durante la navigazione?
Lallona, il Sun Odyssey 49i con il quale abbiamo percorso la Arc+ 2018 è una barca da crociera ma con nette velleità sportive in confronto alle altre sue dirette concorrenti più croceristiche. Molto solida e resistente, è una barca eccezionale che ci ha regalato sensazioni racer planando bene su ogni onda oceanica!
– Ci sono stati momenti critici a bordo e come li avete risolti?
Veri e propri momenti di criticità non ne abbiamo avuti, abbiamo però risolto diverse avarie e siamo dovuti salire in testa d’albero anche in pieno oceano per risolverle… A parte questo, a conclusione della regata dopo oltre 12 giorni di oceano, appena passato il traguardo di Rodney Bay, a Santa Lucia (Caraibi), di notte con 30 nodi di vento contrari in una baia che non conoscevamo tra le altre barche in rada, il motore non è partito. A quel punto non ci restava che manovrare a vela tra le raffiche e le altre barche all’ancora: non è stato facile, ma l’equipaggio è stato all’altezza e abbiamo dato ancora in maniera ineccepibile… Una sudata però!
– Quali sono secondo te i punti chiave per il successo della vostra esperienza?
La preparazione di Luca Pelo e Pier Paolo Tommasi, la tenacia, la motivazione e la capacità dell’armatore Giuseppe, poi la grande intelligenza di Paolina e la pazienza nel sopportarci (senza dimenticare che è una velista di un certo rilievo) e poi la bellezza e la bontà delle bambine Sofia e Sara. Ecco la chiave per rendere una crociera/regata come la Arc un successo: in poche parole tutto l’equipaggio.
– In che modo questa traversata ha accresciuto il tuo bagaglio di esperienza tecnica e umana?
Beh, vivere h24 per oltre un mese con delle persone in un ambiente ristretto persi nell’oceano di per sé è un’esperienza molto forte. Farlo con questo equipaggio è stato un piacere, un onore e un momento formativo continuo su tanti livelli: umano, tecnico e relazionale. Di fatto neanche con un coniuge si passa tanto tempo insieme in maniera così continua (si esce per la spesa, si và al lavoro, si vedono amici, etc.). La risultanza è la conoscenza reciproca di un io più profondo, la consapevolezza che si è riusciti in un’impresa e si è raggiunto un miglioramento delle relazioni umane, ma anche lavorative.